Il responso delle urne ha messo in bella copia ciò che le previsioni più serene avevano scarabocchiato nei giorni scorsi. Bonaccini vince abbastanza bene, ma non tanto da poter affermare che l’onda lunga del leghismo sia stata finalmente arrestatata. Salvini porta a casa un risultato lusinghiero: laddove una volta il voto era scontato, ora invece è combattuto. Anche l’Emilia Romagna è diventata contendibile.

In Calabria non poteva andare diversamente. Callipo ha fatto il possibile ben sapendo di dover correre in salita, con una bici arrangiata all’ultimo momento, senza una squadra a suo sostegno. Vince una destra che al Sud, a cicli alterni, incarna anch’essa una speranza. Da domani, proprio pensando alla Calabria, una riflessione su come ricollegare il meridionalismo al riformismo democratico andrà fatta.

La débâcle dei Cinque Stelle non sorprende nessuno. Semmai sorprende che i sondaggisti rilevino tuttora, quando elaborano i loro dati nazionali, che rimanga ancora attorno al 20% (un po’ più, un po’ meno) la quota percentuale attribuita al M5S. Qualcosa evidentemente non quadra.

Esce rafforzato il governo da questa prova elettorale? Possiamo dire che non esce indebolito. Il fantasma di una crisi, e poi di una ineluttabile spinta al voto anticipato, è stato certamente allontanato. Ciò non toglie, però, il rischio che le perturbazioni non si prolunghino ancora nelle prossime settimane, soprattutto per lo stato di grave incertezza in cui versa il gruppo dirigente grillino.

Bisogna guardare avanti. La sensazione è che l’elettorato sia alla ricerca di qualcosa di nuovo. La riduzione dell’astensionismo certifica la ripresa di un desiderio di partecipazione. L’Italia profonda reclama una presa di distanza dalla politica verbosa e inconcludente.
Insomma, non è un voto che archivia i problemi.