Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Roberto Cutaia

«È la sera dei miracoli fate attenzione». Parafrasando l’incipit della famosa canzone La sera dei miracoli di Lucio Dalla entriamo nella sera delle sere, quella del Giovedì santo, dell’ultima Cena, della lavanda dei piedi e dell’istituzione dell’eucaristia. Ecco il dinamismo del sacro triduo pasquale, l’evento principale della morte e risurrezione di Gesù di Nazaret, il cuore dell’anno liturgico. Certo, anche se i vicoli non sono quelli di Roma bensì quelli di Gerusalemme, quelli acciottolati del Monte Sion, che portano attraverso una scala esterna al Cenacolo (dal latino Coenaculum, luogo dove si cena). E proprio al piano rialzato di quella stanza, prima del banchetto pasquale Gesù compie la scandalosa lavanda dei piedi: «Ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri» (Giovanni, 13, 14). È qui che il Figlio di Dio, «nell’ora del suo passaggio da questo mondo al Padre» (ibidem, 13, 1), ricorda ai suoi discepoli e ancor più agli uomini e alle donne di oggi — schiacciati dai propri egoismi e privi di un orizzonte di vita superiore — l’impegno a non dimenticare che, come dice Gesù, «vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (ibidem, 13, 15).

Lo “scandaloso” Giovedì santo di Papa Francesco (anche quest’anno i riti del triduo pasquale subiranno cambiamenti per il rispetto delle norme anti-covid), è segnato da gesti significativi, vere e proprie lezioni di generosità, prodigalità e di donazione a imitazione del Maestro. Da arcivescovo di Buenos Aires di frequente si recava nei penitenziari. È così che, fin dall’inizio del pontificato nel 2013, Francesco incontra gli ospiti delle case circondariali — in quell’occasione toccò al carcere minorile di Casal del Marmo a Roma — per lavare i piedi a ragazzi e ragazze di nazionalità diverse. «Aiutarci l’un l’altro: questo Gesù ci insegna e questo è quello che io faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Un dovere che mi viene dal cuore, amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato», sottolineò il Papa. Tant’è che ai nostri giorni, condizionati dalla pandemia, persino nel nostro mondo incredulo, quel memorabile servizio compiuto dal Signore nella sera del più grande dono d’amore è rivissuto e vivificato dall’encomiabile impegno della Chiesa in primis e con l’ausilio di migliaia di volontari che per le strade dell’intero mondo soccorrono, lavano, rifocillano e riscaldano i più bisognosi a tutte le latitudini, senza nessuna distinzione.

«Avendo amato tutti i propri compagni, che erano sempre presenti, fin dal principio, li amò anche sino alla fine. E mentre si svolgeva il pasto serale dell’amorevole mensa, intessé e compì per i propri compagni opera di servitore» (Nonno di Panopoli, Parafrasi del Vangelo di san Giovanni, Città Nuova, 2020, pagina 285). Nella bimillenaria storia del cristianesimo, il gesto emblematico della lavanda dei piedi è stato preso in considerazione fin dalla tradizione dei padri e dottori della Chiesa e tuttora non diminuisce l’interessamento di biblisti, esegeti, teologi, filosofi e non solo. «Quando batte l’ora della solitudine — e tutti a un certo punto hanno l’impressione di essere collocati in disparte dalla vita, di essere relegati ai margini dell’esistenza e soprattutto di essere soli — richiamiamo il pensiero del Giovedì santo: non è mai solo chi è stato ed è così desiderato e ricercato dal Signore dell’universo, della storia, dei cuori» (Giacomo Biffi, Le cose di lassù, Cantagalli, 2007, pagina 100). L’abluzione dei piedi diventa in concreto il gesto rivelativo, il dono di sé da parte di Gesù. «Che equivale a dire: poiché dal tuo insegnamento comprendo che, lavando i miei piedi, mi fai capire che purifichi i miei peccati, ti presento da lavare non solo i piedi, ma anche le mani e il capo, perché so bene di commettere molti peccati che tu devi rimettere, non solo col muovermi ma anche coll’agire, col vedere, anche col sentire, gustare, toccare» (Beda il Venerabile, Omelie sul Vangelo, Città Nuova, 1990, pagina 311). L’atto del Nazareno è stato sublimato anche da san Benedetto da Norcia: «L’abate versi l’acqua agli ospiti sulle mani, sia l’abate che l’intera comunità lavino i piedi a tutti gli ospiti» (Regola, L111 ); e persino da Origene: «Come può essere arrogante chi dopo cena, avendo deposta la veste in mezzo ai suoi discepoli, cintosi di un asciugatoio e versata l’acqua in un catino, lavò i piedi di ciascuno di essi, e rimproverò quello che non voleva porgergli i piedi?» (Contro Celso, Utet, 1989, pagina 134). Un gesto, quello del Maestro, che sfocia con umiltà nell’unità: «Io bramo seguire in ogni cosa la Chiesa di Roma […]. Io non faccio che seguire l’apostolo Pietro quando disse: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e la testa!”. Vedi quale fede! Se prima oppose un rifiuto, fu per umiltà, ma che in seguito abbia offerto se stesso, fu per devozione e per fede» (Sant’Ambrogio, Opere, Utet, 1996, pagine 730-731).

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