Da tempo, come colleghi e come amici, sapevamo che la malattia di Ombretta non lasciava speranze di potere averla a lungo ancora vicina a noi, gioire per il suo sorriso, apprezzare il suo equilibrio di giudizio, trarre conforto e stimolo dalla sua fede semplice ed esigente al tempo stesso.

Tante sono le cose che potrebbero essere di lei evocate: la finezza dell’analisi giuridica; la determinazione combinata con il rispetto integrale per l’interlocutore; il coraggio nell’affermazione di un punto di vista che poteva talvolta apparire di retroguardia ad un osservatore superficiale; l’ironia capace di applicarsi anche a sé medesima.

Vorrei ricordarla sottolineando, tra le tante, due caratteristiche di Ombretta che mi hanno sempre particolarmente colpito durante la nostra lunga amicizia, maturata soprattutto nell’ultimo quindicennio.

La prima è l’eleganza e la sobrietà dello stile, si trattasse di una riunione di lavoro o di una serata di festa, di un’occasione lieta o di un momento triste. Per lei forma e sostanza si sostenevano e si intrecciavano con modalità davvero mirabili, tanto da fare pensare che quell’eleganza fosse qualche cosa di innato piuttosto che il risultato di un progressivo lavorio e affinamento interiore, al quale non era probabilmente estranea la disciplina di studio cui ha dedicato la sua vita accademica, il diritto canonico.

La seconda caratteristica è la passione per il bene comune, coltivata e rafforzata nel corso dei suoi numerosi incarichi istituzionali (come parlamentare, sottosegretaria di Stato, membro del Csm) e poi riversata nell’esperienza didattica, nella vita familiare, persino nei periodi di vacanza trascorsi nella “sua” Varigotti. Bene comune che per lei, sulla scia di una tradizione robusta e illustre, è il bene di tutti e di ciascuno, dunque qualche cosa di diverso dal mero interesse generale, che può condurre talvolta a sacrificare il bene di ciascuno.

Nell’album dei ricordi, che in questi momenti inevitabilmente si affollano al pensiero, è dominante per me il sentimento di riconoscenza e gratitudine per avere potuto gioire della sua amicizia, tangibilmente dimostrata in ogni occasione. Non posso non ricordare l’attenzione con la quale Ombretta ha seguito i miei sette anni di servizio nelle istituzioni, sia al ministero della salute, sia alla commissione parlamentare per le questioni regionali, sia al Consiglio superiore della magistratura. Relativamente a questo ultimo, la sua affettuosa insistenza fu determinante per indurmi ad accettare nel 2016, dopo la morte di Giovanni Conso, la presidenza dell’Associazione Vittorio Bachelet, che da quarant’anni opera all’interno e in collaborazione con il Csm per promuovere una cultura della giurisdizione ispirata al pensiero del grande giurista assassinato nel 1980 dalle Brigate rosse: Ombretta è stata componente del Comitato di presidenza dell’Associazione sino a quando le condizioni di salute gliel’hanno consentito, esercitando in essa le sue tanti doti di consiglio, di equilibrio e di esperienza istituzionale. Per non parlare dell’attenzione e della delicatezza nei rapporti di colleganza universitaria. Come quando mi propose, all’atto di essere collocata a riposo, di occupare la sua stanza in Università Cattolica, con una splendida vista sulla basilica di Sant’Ambrogio: gli impegni istituzionali che sarebbero sopraggiunti mi impedirono poi di attuare il progetto, ma ricordo molto bene la gioia che provai nel sentirmi accolto in un Ateneo così importante nella mia storia personale. O quando, nella sua qualità di direttore della rivista Jus, mi richiese di scrivere un impegnativo articolo sul modello costituzionale italiano di famiglia.

Vorrei infine dire una parola sulla sua impostazione culturale e scientifica (meglio di me lo faranno i suoi colleghi di materia e i suoi allievi), evocando un passaggio conclusivo di uno dei suoi ultimi scritti, dedicato al matrimonio in Italia tra dimensione religiosa e secolarizzazione: “Non tanto il diritto e i suoi strumenti, ma la testimonianza personale, il costume sociale e la pastorale teologica hanno un ruolo decisivo nell’affrontare e vincere le sfide della secolarizzazione”. Ecco, in questa breve citazione ritrovo tutta intera la professoressa Ombretta Fumagalli Carulli, la sua sobrietà, il suo buon senso, la profondità del pensiero.