Una amicizia impensata e vera. Mario Capanna ricorda Vittorio Sora

In nulla mi considero felice se non nel ricordarmi dei miei buoni amici.
(W.Shakespeare)

Per gentile concessione dei curatori pubblichiamo il testo che l’autore, uno dei leader più carismatici del movimento studentesco del ’68, ha voluto inserire nel volume di ricordi e testimonianze (Vittoria Sora. – Le radici di una passione civile, a cura di Ennio Pasinetti e Franco Franzoni, Scholè Morcelliana, 2021) nel venticinquesimo anniversario della scomparsa di Vittorio Sora.

(Mario Capanna)

Non avrei mai ritenuto, in quei tempi, di avere per amico un democristiano… E invece accadde, in circostanze particolari.

Fui eletto nel 1975 consigliere lombardo per Democrazia Proletaria (DP), insieme a Franco Petenzi. Era il mio primo impegno diretto nelle istituzioni rappresentative.

Si dispiegava, in piena realizzazione, il “compromesso storico”, con l’ingresso, nella maggioranza di governo, del PCI insieme alla DC.

Noi di DP sostenevamo che, così, il PCI portava il movimento operaio “a mangiare becchime nelle mani della DC”, pagando il prezzo assurdo del portatore d’acqua al mulino dell’avversario-alleato.

Cosa che puntualmente avvenne, e quando Berlinguer se ne accorse (con la contro-svolta di Salerno del 1979 e il ritorno all’opposizione), era ormai troppo tardi. Data da allora la crisi inarrestabile del maggior partito comunista d’Occidente.

La nostra opposizione alla giunta regionale, guidata da Cesare Golfari, era a tutto campo. La nostra, anzi, era l’unica opposizione reale. Appena due consiglieri, in pratica, contro 78. E, tra i 78, i consiglieri del PCI erano più realisti del re.

Ricordo che lavoravamo giorno e notte, cercando di avanzare sempre soluzioni alternative a quelle proposte (e spesso imposte) da quella pletorica maggioranza.

Intervenivamo su tutti i maggiori temi: dal disastro della diossina a Seveso alla battaglia per la trasparenza – costringendo per esempio alle dimissioni il potente assessore all’Urbanistica Sonzogni – alla lotta contro le centrali elettronucleari e per le energie alternative e rinnovabili.

Insomma: riuscivamo ad incidere in modo efficace, nonostante la disparità di forze.

Fu in quell’aggrovigliato contesto che nacque, e si sviluppò, l’amicizia fra Vittorio Sora e me.

Avevo notato quel democristiano atipico: fedele ovviamente al partito, ma non omologato, dotato di acuto e, spesso, ironico spirito critico, animato da vasta cultura, sensibile alle ragioni per cui mi battevo, ammirato per la tigna del mio impegno (si vedeva che ci credevo, mi diceva spesso), per la coerenza dei comportamenti, retaggio, sosteneva lui,  della mia giovanile educazione cattolica.

Sicché cominciammo a dialogare. Nelle more dei lavori consiliari, dentro ma anche fuori del Palazzo.

Durante i viaggi all’estero (in Svezia, Germania, Stati Uniti) della commissione energetica regionale, per studiare da vicino il funzionamento delle centrali elettronucleari.

Da cui traevamo conclusioni ufficialmente diverse, se non opposte,  ufficiosamente, invece, alquanto simili.

(Per inciso: sulle centrali atomiche vinsi pienamente la battaglia, anche grazie ai dubbi che Sora disseminava tra le file dei consiglieri favorevoli.

La maggioranza di compromesso storico – il PCI in testa con il suo acefalo sviluppismo – ne voleva costruire ben due in Lombardia, nella zona di Viadana lungo il Po.

Prima diedi vita alla Lega lombarda – Umberto Bossi non mi ha mai pagato i diritti d’autore…- contro le centrali elettronucleari, con un manifesto firmato da centinaia di prestigiosi esponenti della società civile, e poi con DP raccolsi le firme necessarie per indire un referendum regionale sulla materia.

Referendum che ci fu impedito di svolgere, ma sta di fatto che, a seguito del clamore suscitato dalle nostre iniziative, in Lombardia non c’è, per fortuna, energia nucleare, come poi non ci sarà in nessuna parte d’Italia, dopo il referendum nazionale del 1987).

E’ in questa temperie tumultuosa che una corrente di simpatia umana reciproca prese a correre tra Vittorio e me.

A mano a mano che l’amicizia si approfondiva, ci scoprivamo sempre più simili, ben oltre le diversità di schieramento politico.

Simili per gli entusiasmi giovanili, che non ci avevano abbandonato, per la predisposizione ad aiutare gli altri, per la capacità di ascolto reciproco, per l’amore verso la terra e la natura, per gli interessi filosofici sulle questioni di fondo, per la politica intesa come arte nobile ed elevata, entrambi disgustati per la sua riduzione a bassa manovra, per la voglia di sapere che va molto al di là dell’erudizione, per le idee guizzanti (rimase ammirato, insieme a sua moglie, per il mio discorso in latino svolto nel Parlamento europeo).

E poi: eravamo due… di sinistra. Io a tutto tondo, lui della “sinistra democristiana, la corrente cosiddetta di base e popolare, meno predatoria rispetto al resto del partito.

Sicché cominciammo anche a frequentarci con una certa assiduità. Al termine di una visita ispettiva a Viadana, Vittorio volle a tutti i costi che andassi a pranzo, insieme a lui, da una numerosa famiglia di allevatori-coltivatori della zona, suoi amici e, ovviamente, tutti democristiani.

Mi disse che così avrei potuto conoscere da vicino quella Bassa, di cui ogni tanto parlavo, secondo lui con una cognizione non del tutto adeguata.

Il pranzo fu luculliano, il cibo e le bevute superlativi, la conversazione piacevolissima.

Un’altra volta, saputo che avrei passato le vacanze estive in Sardegna, insieme alla mia fidanzata, ci invitò nella sua casa a Santa Teresa di Gallura.

Passammo ore liete insieme. E lì scopersi la sua profonda passione per il mare. Possedeva un gozzo (simile, sebbene più piccolo,  a quello che Garibaldi usava per spostarsi da Caprera) e, dopo la sua partenza, volle che lo usassimo come se fosse nostro. Generoso come sempre.

Un giorno volle portarmi in gommone sul Po, di cui mi tessé le lodi con amore sincero, e approfondimmo il discorso sulla civiltà fluviale e contadina, su cui aveva una competenza vera.

Gli sono stato sempre grato per quella magnifica escursione:  perché fu lì che mi venne in mente l’idea di realizzare una regata velica sul Po – iniziativa che si svolse nell’estate 1978 – ovviamente contro le centrali elettronucleari e per difendere gli equilibri ecologici del grande fiume.

Ciao, Vittorio. Come vedi mi è impossibile dimenticarti. Il fatto è che noi due ci siamo voluti bene, al di là degli opposti schieramenti di appartenenza.

La nostra è stata la “magia” dell’autenticità umana e culturale, in te vitale e prorompente.

Non ti raccapezzeresti, se vedessi come e quanto i rapporti umani si sono oggi per lo più rattrappiti, imprigionati entro un micromaterialismo volgare, sostanzialmente nichilista, che rende isolato l’uomo tecnologico, proprio nel momento in cui crede di essere interconnesso al massimo grado.

Va da sé che questa è una ragione in più per continuare a lottare, e io cerco di farlo anche nel ricordo di te.