Articolo a firma di Liliana Ocmin (edizione odierna di Conquiste del lavoro)

Far fronte al continuo calo demografico rappresenta oggi una delle priorità più urgenti da inserire nell’agenda politica del Paese. Ma su questo versante, purtroppo, dobbiamo registrare ancora un nulla di fatto e questo ci preoccupa non poco sia come donne che come sindacaliste. Un tema quello della denatalità di cui si è tornato a parlare nei giorni scorsi dopo la pubblicazione del Bilancio demografico nazionale dell’Istat e del libro “Italiani poca gente” scritto da Antonio Golini, docente Luiss, e Marco Valerio Lo Prete, giornalista Rai, con la prefazione di Piero Angela.

L’Istat conferma che dal 2015 la popolazione residente è in continua diminuzione, “configurando per la prima volta negli ultimi 90 anni una fase di declino demografico. Al 31 dicembre 2018 la popolazione ammonta a 60.359.546 residenti, oltre 124 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,2%) e oltre 400 mila in meno rispetto a quattro anni prima. Il calo è interamente attribuibile alla popolazione italiana, che scende al 31 dicembre 2018 a 55 milioni 104 mila unità, 235 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,4%). Rispetto alla stessa data del 2014 la perdita di cittadini italiani (residenti in Italia) è pari alla scomparsa di una città grande come Palermo (-677 mila). Si consideri, inoltre, che negli ultimi quattro anni i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza sono stati oltre 638 mila. Senza questo apporto, il calo degli italiani sarebbe stato intorno a 1 milione e 300 mila unità. Il saldo naturale della popolazione complessiva è negativo ovunque, tranne che nella provincia autonoma di Bolzano”.

Insomma, il continuo peggioramento di una situazione drammatica che tratteggia un futuro non molto lontano in cui il ricambio generazionale sarà messo a dura prova. Il dato positivo è che siamo ancora in tempo per intervenire ed invertire questa discesa senza freni. Stessa situazione se scorriamo le pagine del volume di Golini e Lo Prete: “oggi in Italia abbiamo il più basso indice di fertilità e natalità in Europa. In Europa la media è molto più alta e si è visto che nei Paesi in cui la donna lavora, la coppia ha due redditi, si hanno più figli, a condizione di avere uno stato sociale che aiuta con asili nido, detassazioni. In Italia siamo a poco più di uno; è una situazione patologica che a medio-lungo termine comporterà rivolgimenti che i giovani dovranno affrontare forse anche in modo drammatico”. Noi del Coordinamento donne sono anni che cerchiamo di far capire che non è tenendole a casa che le donne fanno più figli ma aiutandole a lavorare e soprattutto a conservare il posto di lavoro, specie dopo la nascita di un figlio.

Oggi le donne che lavorano sono solo il 48,9% rispetto ad una media europea del 62,4%, per non parlare del Mezzogiorno dove si toccano finanche livelli del 30%. Ha ragione Piero Angela quando dice che “ci si occupa poco di demografia, perché è qualcosa di prospettiva, non la vediamo davanti. La mente umana reagisce quando vede un problema davanti a sé, ma non quando deve immaginarlo”. Bisogna, dunque, superare anche questo tipo di scoglio comunicativo per aumentare la consapevolezza su una questione che tra qualche decennio potrebbe trovarci impreparati. Occorrono politiche a sostegno della natalità e della famiglia che ad oggi non si riescono ad intravedere, non si va oltre le solite dichiarazioni che ormai non producono alcun effetto sulle speranze degli italiani, sempre più increduli senza risultati concreti. La Cisl già lo scorso anno aveva condiviso le preoccupazioni del Forum delle Associazioni familiari e aveva chiesto un Patto per la famiglia e la natalità sottolineando l’importanza di politiche che supportino concretamente le famiglie e agevolino la libera scelta di maternità, perché questa non rappresenta solo un importante evento confinato nel privato, ma un fattore fondamentale per la crescita sociale e per lo sviluppo economico del Paese. Aiutare e favorire la maternità, dunque, non è un costo ma un investimento, che non devono perciò sostenere solo le famiglie.

I dati elencati sono un richiamo forte per la politica affinché metta in campo un impegno straordinario con misure coordinate, mirate e strutturali sia di carattere fiscale sia attraverso incentivi ai servizi per l’infanzia e l’adolescenza, nonché alla contrattazione collettiva per un maggiore sviluppo di misure in favore della conciliazione famiglia/lavoro.
La Cisl ritiene urgente aprire anche su questi temi un tavolo di confronto con istituzioni e forze sociali per ridare quella dignità e quel valore sociale alla maternità che oggi sembrano perduti. Non c’è più tempo per pensare, bisogna agire subito per dare un colpo d’ala al futuro dell’Italia.