IRAN, IMPICCATI ALLA SPERANZA. TRANNE QUALCHE STREPITO DI CONVENIENZA, DI FRONTE ALLA BARBARIE IL MONDO TACE.

In Iran l’impiccagione va di moda. Sembra la cura giusta per calmare i bollori, i picchi di una gioventù che osa ribellarsi ad un potere che non può andare assolutamente a picco. Il regime ha un asso nella manica. Gli è sufficiente appiccare il fuoco della morte…

In Iran limpiccagione va di moda. Sembra la cura giusta per calmare i bollori, i picchi di una gioventù che osa ribellarsi ad un potere che non può andare assolutamente a picco. Il regime ha un asso nella manica. Gli è sufficiente appiccare il fuoco della morte…

Giovanni Federico

La ballata degli impiccati di François Villon del 1489 è sempre attuale. In francese il titolo è più efficace (Ballade des pendus), richiama qualcosa che pende. Anche se essere “pending” significa anche un’attesa che in questo caso non ha più ragione di essere.

“Fratelli umani che dopo noi vivrete,

non siate verso noi duri di cuore,

ché, se pietà di noi miseri avete,

Iddio ve ne saprà ricompensare.

Qui ci vedete appesi, cinque, sei:

e la carne da noi troppo nutrita,

oramai è divorata e imputridita,

noi, ossa, diveniam cenere e polvere…

La pioggia ci ha bagnati e dilavati

e il sole disseccati e anneriti.

Gazze e corvi gli occhi ci han cavati

e strappato la barba e i sopraccigli.

Mai un istante ci siamo fermati

di qua, di là siccome il vento muta,

a suo piacere si oscilla senza sosta,

più beccati che i ditali per cucire”.

Non è poi così difficile morire in questo modo che ha il pregio di essere anche economico. Basta un semplice cappio, meglio ancora un capestro buono sia per gli animali che per i condannati alla forca, per dirla alla Tommaseo, “degni se non di un pubblico”. Si fa quella fine se si è sotto uno Stato capestro o se per protesta contro di esso si è stati un po’ troppo scapestrati. Per buon ordine il potere ti riaddomestica mettendoti la cavezza che poco ha a che fare con una carezza.

Di questi giorni in Iran l’impiccagione va di moda. Sembra la cura giusta per calmare i bollori, i picchi di una gioventù che osa ribellarsi ad un potere che non può andare assolutamente a picco. Il regime ha un asso di picche nella manica. Gli è sufficiente appiccare il fuoco della morte senza che i condannati, vittime di processi farsa, se ne possano piccare oltre un certo.  Non sarà una fine gloriosa, una storia piccante da tramandare ai posteri, ma va bene ugualmente. Giuda, un traditore, ha avuto la stessa sorte e questi benedetti ragazzi non ne hanno tenuto conto.

È la lezione necessaria per placare la sommossa in corso, un sub motus inaccettabile. Torna buono il detto latino “Ab urbe submoti”, tenuti lontano intanto dalla città! Si apre d’improvviso una botola e i condannati pendolano attaccati ad una fune al collo, oscillando quel poco, al pari di un metronomo, per dare il ritmo alle esecuzioni a seguire. Per un attimo sospesi tra la vita e la morte, pendendo dalle labbra di un militare che ordina al boia di procedere.

Si apre la botola e quei botoli di protestatari hanno il fatto loro. Resta ignoto se i tiranni hanno subito la suggestione occidentale dell’impiccagione adottando la tecnica inglese, dove il cappio è messo in maniera da spezzare le vertebre del collo al momento della caduta del corpo nel vuoto. In meno di un minuto la morte è garantita, parola di Saddam Hussein che ne ha sperimentato l’efficacia. O se invece si propenda seguendo il metodo classico per asfissia. In una decina di minuti si arriva ad analogo risultato, si arresta il polso, mentre il condannato ha però il tempo di ripensare al suo misfatto. Potrebbero chiedere in Francia esperti, per lo champagne, in metodo classico o in quello charmat. L’impiccagione presenta un ulteriore innegabile vantaggio. Né la fucilazione, la sedia elettrica e neppure la decapitazione hanno procedure che consentano di mantenere in mostra gli esiti del castigo subito dopo l’esecuzione. I corpi sono portati via e il sipario si chiude.

Il wrestling è un’arte marziale teatrale con colpi già prestabiliti tra i duellanti. Un suo campione, Navid Afkari, e il campione di Karate, Mohammad Mahdi Karami, sono stati nel tempo di un mese o poco più impiccati. Non si lotta contro il potere. Con loro anche Seyyed Mohammad Hosseini che ha prestato invece volontariato con i bambini e che poteva forse istruirli alla libertà. Giorni prima è stato il turno, nella pubblica piazza a Mashad, di Majidreza Rahnavard con un rito più spettacolare: vestito di bianco, il volto coperto, il corpo che penzola dalla gru, così che tutti possano vedere la lezione da tenere a mente. Non è il magnifico uccello che a seconda del manto e della grazia è chiamato gru damigella, cenerina, coronata o del paradiso. Qui siamo all’Inferno: la gru è quel braccio mobile di ferro che regge pesi importanti ben in alto nell’aria in modo che tutti possano ammirare il carico che sostiene. Tranne qualche strepito di convenienza, il mondo tace. L’Europa sbadiglia. Non si tratta di pensieri in gabbia ma di fare spallucce. Fino a mostruosamente ingobbirsi.