È sufficiente ricordare tre concetti, peraltro fondamentali, della nostra cultura cattolico popolare,  democratica e sociale per mandarci un po’ in crisi quando si parla di cattolici, di politica e di  partiti. Ovvero, quando si parla di “giustizia sociale”, di “difesa e promozione dei ceti popolari” e  di “qualità della democrazia” facciamo molta fatica a capire chi interpreta e declina  concretamente oggi, senza la solita e nauseante propaganda altezzosa ed arrogante, quei  concetti che da sempre caratterizzano e accompagnano il nostro filone ideale.  

Certo, un tempo le cose erano più semplici. Per fare solo alcuni esempi, seppur schematici, del  passato noi sapevamo quali erano le forze politiche e, soprattutto, i leader politici nazionali che  intercettavano quelle sensibilità e che si battevano per tradurre quei principi e quei valori in azione  politica e legislativa concreta. Se, ad esempio, Carlo Donat-Cattin era il leader della sinistra  sociale e sindacale della Democrazia Cristiana, Franco Marini è stato per molti anni il punto di  riferimento più significativo della corrente dei Popolari nei vari partiti dopo la fine della Dc e la  chiusura forse troppo frettolosa del Partito Popolare Italiano. Se il centro sinistra, per svariati  lustri, ha saputo interpretare la domanda di giustizia sociale, la difesa degli interessi dei ceti  popolari e di chi ne aveva più bisogno oltre che ad essere l’alfiere della cosiddetta qualità della  democrazia nel nostro paese – e di alcuni partiti che si riconoscevano in quella coalizione – oggi  tutto ciò è francamente più difficile e più complicato da decifrare.  

In altre parole, quali sono, concretamente e senza retorica, le forze politiche e i leader politici che  oggi interpretano visibilmente quei valori e che incarnano di fronte all’opinione pubblica quella  linea e quel progetto politico? Non si tratta di riprendere la vecchia e un po’ stantia discussione  sull’esaurimento, o meno, della coppia simbolica e post ideologica destra/sinistra ma è indubbio  che i tradizionali punti di riferimento sono evaporati e oggi, al di là delle formalità, è tutto più  fluido. Fuor di metafora, quando si dà quasi per scontato che in tutte le periferie delle grandi città  italiane che andranno al voto nel prossimo autunno permane una prevalenza politica ed elettorale  delle forze politiche riconducibili al centro destra sorge spontanea una domanda: e la cosiddetta  sinistra da quelle parti non ha più nulla da dire? Quando si dà quasi per altrettanto scontato che  alcune preoccupazioni principali che interessano direttamente milioni di cittadini – dalla sicurezza  del territorio al governo della giustizia, dalla tassazione ai diritti sociali – sono scivolati  misteriosamente ma irreversibilmente dalla sinistra storica alle forze cosiddette di centro destra è  persin ovvio che si arriva alla conclusione che sono saltate definitivamente le tradizionali  appartenenze ideologiche e, forse, anche le singole scelte politiche dei cittadini. 

Di qui la difficoltà a comprendere sino in fondo le attuali dinamiche politiche e, soprattutto, la  presa d’atto che sono saltate le letture del passato che distribuivano in modo quasi dogmatico le  patenti di destra e di sinistra a seconda dei ceti sociali che i partiti rappresentavano  concretamente nella società italiana. Certo, quando si dice che la sinistra italiana, cioè il Pd,  interpreta alla perfezione i desideri, le ansie, le preoccupazioni, le domande e il “sentiment” delle  varie “zone ztl” si dice una profonda verità ma si consegna anche una immagine che quel partito  si autoqualifica di sinistra ma interpreta i bisogni di un pezzo di società agiata, borghese, alto  borghese e benestante. Altrochè la promozione e la difesa dei ceti popolari….E quando sul tema  della democrazia le principali battaglie sulla modifica della Costituzione sono arrivate da  esponenti e leader politici che guidavano partiti di sinistra – penso ai referendum di Renzi – o gli  immancabili richiami “giustizialisti” di larghi settori della sinistra italiana, diventa francamente  difficile coniugare tutto ciò con la cultura progressista, sociale e democratica. 

Ecco perchè, forse, è giunto anche il momento per recuperare sino in fondo il patrimonio, il  magistero e anche l’esempio di quei partiti e di quei leader politici che quando si qualificavano di  sinistra o di centro sinistra lo erano veramente. Ma non perchè lo predicavano con saccenza  politica, con arroganza culturale e con spocchia moralistica ma per il semplice motivo che lo  vivevano quotidianamente. Cioè, per sensibilità, per status e per cultura. Solo così parole e  concetti come “giustizia sociale”, “qualità della democrazia” e “difesa e promozione dei ceti  popolari” potranno nuovamente avere un significato coerente e partiti e politici che li difendono e  li declinano con altrettanta coerenza e credibilità.