La strada verso la pace appare essere molto accidentata, anche perché in ambedue gli schieramenti contrapposti continuano ad esistere leaders e/o gruppi di potere per i quali la guerra in corso si presenta come una occasione da cogliere.

Il conflitto in Ucraina sembra attraversare una fase di riflessione collettiva, sia sul piano politico-diplomatico sia su quello militare. Dopo tre mesi di guerra violenta e sanguinosa, i contendenti fanno un bilancio, verificano lo stato delle proprie forze e valutano cosa ancora debba essere messo in campo per guadagnare la posta o, per lo meno, dare l’impressione di poterlo fare. 

A tal fine, il gioco diplomatico si rivela lo strumento migliore per prendere tempo. Lo si utilizza, infatti, per riattivare i “pour parler” interrotti o per imbastirne di nuovi ovvero per alimentare la propaganda, pratica diffusa altrettanto utile per far valere meglio le proprie rivendicazioni. Non a caso si registrano contatti a  distanza tra interlocutori qualificati di alto livello; spuntano proposte di improbabili accordi, si parla confusamente di scambio di prigionieri; si avviano con clamore indagini su presunti crimini di guerra e se ne sollecitano di nuove; si diffondono notizie poco rassicuranti sulla salute fisica (e mentale) dei massimi rappresentanti dei due paesi contrapposti come pure sui dissidi interni al cerchio magico del potere che ne complicherebbero la normale attività di governo fino al punto di configurare possibili congiure di palazzo.

Nel frattempo, però, gli scontri armati (in particolare, nell’area del Donbas) continuano ininterrottamente, a dimostrazione che nessuna delle due forze in campo ha la minima intenzione di cedere o recedere. Insomma, la guerra continua. L’esercito russo dà l’impressione di voler, soprattutto, consolidare le posizioni acquisite sul terreno nelle regioni di Donetsk e Lugansk, insistere nella manovra a tenaglia nell’area a sud-est di Dnipro e mantenere il controllo di buona parte della fascia costiera, mentre quello ucraino gli si oppone, coltivando probabilmente la speranza di poterlo rigettare oltre confine grazie alla fornitura (continuamente sollecitata da Zelensky)  di armamenti (americani) sempre più  potenti e sofisticati. Insomma, Mosca sembra ormai determinata a perseguire con metodo la realizzazione del cosiddetto piano B ossia l’occupazione militare permanente della parte sud-orientale dell’Ucraina per poi ottenerne la ratifica attorno ad un tavolo negoziale, secondo tempi e modalità da concordare. Kiev dà l’impressione di opporvisi con la forza della disperazione.

L’attenzione generale è ora rivolta all’auspicata esportazione di enormi quantitativi di grano e cereali dall’Ucraina – da tempo fermi nei punti di ammasso o già stoccati nel porto di Odessa e da cui dipende la sicurezza alimentare di milioni e milioni di persone – resa praticamente impossibile dal blocco navale russo nel Mar Nero, dove più agevolmente il prodotto può essere trasportato. L’Unione Europea sta in vari modi adoperandosi, insieme ad altri partner internazionali, per risolvere al più presto il problema, tenuto conto che Mosca ha manifestato una disponibilità a collaborare condizionata però al ritiro delle sanzioni sulle esportazioni e transazioni finanziarie russe. E’ quanto praticamente lo stesso Putin ha confermato a Draghi nel corso di una recentissima telefonata, durante la quale il “leader” russo avrebbe anche sostenuto l’attuale impossibilità ad avviare negoziati di pace con Zelensky data l’indisponibilità di quest’ultimo a trattare…  

La questione alimentare è un nodo ormai venuto al pettine al pari di numerosi altri che, presumibilmente, con la continuazione prolungata nel tempo del conflitto, prima o poi appariranno sulla scena internazionale per diventare ulteriori incognite della già molto complicata equazione sul tappeto. Con la volontà di aderire alla NATO (subito osteggiata da Ankara) espressa da Finlandia e Svezia, il fronte occidentale tende ad allargarsi, ma, al tempo stesso, rischia di indebolirsi per l’intenzione manifestata da alcuni stati membri (“in primis”, l’Ungheria di Orban) di smarcarsi dalle sanzioni energetiche decise dalla Commissione Europea contro la Russia nonché per la “de- escalation” militare invocata sempre più da alcune formazioni politiche e movimenti pacifisti nazionali. 

Altri governi europei (tra cui quello italiano), pur favorevoli all’invio di armi e all’adozione di sanzioni economiche, ritengono, con sempre maggiore insistenza, prioritario un “cessate il fuoco” con conseguente avvio di negoziati diretti fra le due parti, anche se, come si è visto, Mosca continua decisamente a tergiversare. In tale cornice, Washington e Londra tirano, invece, dritte per la strada militarista, avendo maturato l’idea che Putin possa diventare ragionevole soltanto se sconfitto sul campo (e puntando, neanche in modo troppo coperto e malgrado le periodiche smentite, ad un “regime change” a Mosca). 

Nel recente vertice di Davos, Boris Johnson ha addirittura parlato di una possibile alleanza politico-economico-militare (alternativa all’Unione Europea) di Londra con alcuni paesi ex- Unione Sovietica (Ucraina, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania) aventi in comune il forte timore per l’aggressività russa e la sensazione che stia subentrando nell’Unione ed in alcune capitali europee di primo piano (“in primis”, Parigi e Berlino) una certa tepidezza nel contrastarla, circostanza confermata, del resto, dal comportamento di Scholz su quello stesso palco, dove ha accuratamente evitato di soffermarsi sullo stato della guerra in Ucraina.

Questa nuova iniziativa inglese, seppur ancora allo stato embrionale, conforterà non poco il neo Zar sempre speranzoso che la solida crociata contro la Russia cominci a mostrare la corda, indebolendo quell’unità che ha spinto il suo paese nell’angolo, isolandolo da una grande parte di comunità internazionale.    

In definitiva, la strada verso la pace appare essere molto accidentata, anche perché in ambedue gli schieramenti contrapposti continuano ad esistere leaders e/o gruppi di potere per i quali la guerra in corso si presenta come una occasione da cogliere. Infatti, a Putin essa potrebbe consentire di realizzare il sogno di ricreare l’impero zarista e restare nella storia nazionale. In seno a vari circoli politici americani (per lo più repubblicani) essa è vista come la possibilità di dare un definitivo colpo mortale al tradizionale nemico russo. In Europa, i paesi ex-satelliti dell’URSS possono percepirla come un modo per rendere più solida ed efficace la preziosa protezione americana contro le mai sopite mire egemoniche sulla regione della Russia, il potente da sempre sgradito paese confinante. Infine, per le industrie belliche guerra significa grossi profitti e, pertanto, non stupisce immaginare che la loro lobby sia molto impegnata a rendere, in vari modi, la via della pacificazione la meno praticabile possibile. 

Alla luce di quanto precede, non c’è dubbio che avanzare delle previsioni continua ad essere un esercizio quanto mai difficile e, per certi versi, anche sterile.