Mai si era visto un Mattarella così contrariato e spazientito come nell’ora di cena è apparso ieri sugli schermi televisivi, quando ha riassunto lo stato delle consultazioni con i diversi gruppi politici, arrivando a concludere che nulla, a dispetto delle intenzioni sue e di larga parte della pubblica opinione, si poteva concludere se non per annunciare la proroga di cinque giorni delle procedure legate alla gestione della crisi.

Questo gli è stato chiesto, non solo da Pd e M5S, e questo ha disposto con malcelata preoccupazione è forse un pizzico d’irritazione. Chiaramente, se al termine della proroga accordata non emergesse una proposta concreta per il governo del Paese, il Presidente non esiterebbe a sciogliere le Camere, mettendo fine suo malgrado alla legislatura. Non ci sono più margini di tolleranza rispetto a dilazioni che mascherano inconcludenza o irresponsabilità.

Il monito presidenziale ha sortito effetto, se è vero che nel prosieguo della serata i segnali provenienti dalle parti interessate hanno dato l’idea di una volontà risolutrice. Zingaretti, uscendo dell’incertezza del suo zigzagare inquieto, ha diramato infine una nota di rassicurazione circa l’impegno a definire con i Cinque Stelle, partendo già dall’incontro odierno tra i rispettivi gruppi parlamentari, i contenuti dell’intesa per dare vita a un nuovo governo. Indietro non si torna, Salvini resta fuori dai giochi e sconta il rifiuto di Di Maio a prendere in considerazione il forno della Lega.

Ora l’inciampo è dato dalla scelta di un nuovo Presidente del Consiglio. Colpisce, a riguardo, la prontezza dei grillini nell’archiviare la figura di Conte. Qui sta la vittoria di Zingaretti, benché appaia ad occhio nudo la classica vittoria di Pirro. Da oggi l’ex premier può diventare infatti l’interlocutore di tutti i potenziali critici del governo. Si tratta di capire se ciò frenerà l’attivismo di Renzi o ne rafforzerà l’impeto. In effetti il connubio Di Maio-Zingaretti accelera il processo di ricostruzione di un partito di centro, così come concepito da Sturzo De Gasperi e Moro, capace di interpretare con spirito audace l’opera di discernimento – cosa c’è di buono e cosa c’è di cattivo? – che reclama ed esige il quadro politico in via di formazione.

I Popolari possono dunque sperimentare un loro ritorno in campo, con la  flessibilità necessaria, se nel contesto del nuovo orizzonte di governo faranno della loro “identità” l’anima della ricostruzione di un’autentica politica democratica e riformatrice.  Non è una funzione, questa,  che in realtà possa essere delegata, né tanto meno dispersa nel vuoto. Bisogna riprendere in mano gli arnesi della lotta politica nel segno di un’autonomia di pensiero e di azione, assorbente per sua intima volontà, quasi a ricalco della cosiddetta vocazione maggioritaria, le istanze di novità che muovono dalle esperienze più importanti di questi ultimi anni. Intanto l’augurio è che la crisi giunga al suo epilogo positivo e chiuda definitivamente la brutta parentesi del salvinismo di lotta e di governo.