La decrescita nuoce ai poveri. | Intervista a Flavio Felice.

L’intervista a Flavio Felice, curata da Paolo M. Alfieri per  “Avvenire” del 19 gennaio 2023 – https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/prospettivenon-solo-crescita-ma-sviluppo-altro -, nella versione integrale è stata pubblicata ieri sul sito del Centro Studi e ricerche “Tocqueville-Acton”.

Per gentile concessione dell’autore, e d’accordo con il Centro, la stessa versione integrale è di seguito riproposta.

Paolo M. Alfieri

D. La decrescita è una scelta economicamente conveniente per la nostra società? E se sì, perché?

R. Non vedo come la “decrescita” possa essere considerata “una scelta economicamente conveniente”. Se una persona decresce è perché non sta bene, così come se cresce in maniera eccessiva o disarmonica. La crescita economica è la fisiologia del sistema economico, la decrescita è una delle forme patologiche che può assumere il sistema. Senza crescita si cristallizzano le posizioni di potere, chi è bene posizionato avrà la forza per poterle consolidare e chi è mal posizionato può solo rassegnarsi e sperare nella benevolenza di coloro che stanno meglio di lui. La decrescita produce sfruttamento nei confronti dei più disagiati da parte delle élite e, occasionalmente, qualche rivolta che mira a sovvertire l’ordine gerarchico: i servi mireranno a diventare padroni e i padroni vivranno la loro condizione come quella di coloro che devono difendersi ogni giorno da chi vorrebbe spodestarli. La decrescita è una sciagura per i poveri e una garanzia per coloro che occupano posizioni di potere.

D. È davvero possibile abbandonare lidea della crescita economica esclusivamente come crescita del Pil? Quali strumenti utilizzare? A quali parametri fare riferimento per una crescita che sia vero sviluppo integrale?

R. Ragionare in termini di sviluppo integrale, come d’altronde fa la Dottrina sociale della Chiesa almeno da Paolo VI con la sua Popolurum progressio, non significa rinunciare alla crescita. La crescita economica è tanto necessaria allo sviluppo quanto lo è la crescita dell’apparato scheletrico – e non solo – nello sviluppo di un essere umano. Il fatto che sia necessario non dice tuttavia che sia sufficiente. Un adolescente può crescere fisicamente, ma rimanere un bambino nei comportamenti. La crescita economica è necessaria, ma non ancora sufficiente per consentirci di parlare di sviluppo integrale. Oltre l’elemento quantitativo della crescita economica è necessario che si consideri anche l’elemento qualitativo che comprende il rispetto che ciascuno deve all’altro in quanto immagine visibile del Dio invisibile. In questo quadro qualitativo si inserisce il tema dello sviluppo integrale che coinvolge la questione ambientale, la difesa e la promozione del creato, la questione istituzionale, attraverso la difesa e la promozione della qualità inclusiva dei processi democratici e infine la questione culturale, favorendo la dimensione plurale della conoscenza e la sua funzione di esaltare la dignità di ciascuna persona, dal concepimento alla morte naturale. A tal proposito non mancano indici che misurano altre forme di crescita, oltre allo strumento del PIL, che non andrebbe abbandonato quanto integrato. Resta il fatto che lo sviluppo umano integrale non è riducibile ad alcun indicatore quantitativo, mentre si risolve nel giudizio che ciascuno di noi è tenuto a dare alla qualità della vita sociale, sulla base della propria prospettiva culturale e antropologica: la società, ci insegna Luigi Sturzo, è sempre la proiezione multipla, simultanea e continuativa dell’azione umana. Una società nella quale l’aborto – tanto per fare un esempio – è considerato un normale mezzo contraccettivo è conforme alla nostra idea di persona e, dunque, di sviluppo umano integrale?

D. Il mercato non sembra favorire in maniera naturale linclusione sociale o promuovere sic et simpliciter la sostenibilità. Quali aggiustamenti” dovrebbero essere promossi dalle istituzioni?

R. Il mercato è lo strumento mediante il quale ciascuno tenta di soddisfare le proprie aspettative, incontrando le aspettative altrui. Da questo punto di vista, il mercato – che è appunto uno strumento – presenta le caratteristiche di coloro che ne animano i processi. Affermare che il mercato “non sembra favorire in maniera naturale l’inclusione” significa presumere che nel mercato possano operare solo personaggi loschi e criminali. Il mercato, al contrario, se ben regolato e sottoposto a costante controllo, è lo strumento che meglio di altri favorisce l’inclusione. Esso è uno strumento umile, dato che non conta il ceto di appartenenza dell’operatore, e incredibilmente efficace, consentendo una tale distribuzione della conoscenza, da rappresentare il più potente strumento di problem solving che mente umana possa immaginare. L’alternativa al mercato è la pianificazione, in tal caso però è necessario che si individui una persona o una cerchia di persone che ne sappiamo più della miriade di consumatori e produttori che quotidianamente riempiono le piazze reali e virtuali e che, con le loro scelte, indirizzano gli investitori; oltretutto, chi controllerebbe il pianificatore? Saremmo di fronte ad un potere totalitario. Altro discorso è quello che riguarda il ruolo delle istituzioni. Il mercato non esiste al di fuori delle regole del gioco che disciplinano gli operatori, di conseguenza, il compito della politica è di garantire che il mercato resti competitivo e che nessuno possa avanzare pretese monopolistiche e, qualora dovesse accadere, è compito della politica espellere simili giocatori. La concorrenza è un bene pubblico e come tale andrebbe difeso dai percettori di rendite.

D. Secondo lIpcc, le politiche di decrescita possono avere un ruolo anche nella lotta al cambiamento climatico. Quali politiche andrebbero messe in atto per una strategia di questo tipo?

R. Non comprendo come la decrescita possa aiutare a fronteggiare il cambiamento climatico se non in negativo; i paesi più poveri non sono certo un esempio di cura ambientale, non che lo siano i paesi più ricchi, ma certamente dove assistiamo ad un’importante crescita economica è più probabile che si sviluppino tecnologie che affrontino creativamente il problema del cambiamento climatico, ed è ciò che sta accadendo. Nessun trionfalismo, perché la strada è lunga e piena di insidie, ma pensare che la decrescita possa essere la soluzione mi sembra che sia un’autentica sciocchezza.

D. Riduzione dellorario lavorativo e più servizi pubblici universali: la società e leconomia di mercato di oggi sono pronti per cambiamenti di questo tipo?

R. L’economia di mercato non tollera la pianificazione, se dal basso emerge una simile esigenza, le istituzioni che presiedono e fondano una economia di mercato assumeranno la forma affinché tale esigenza sia soddisfatta. Negli ultimi 200 anni la vita delle persone che vivono nelle aree nelle quali è presente l’economia di mercato è migliorata in maniera impensabile. Solo qualche decennio fa, i nostri nonni temevano di morire per una (oggi) banale infezione, i re e le regine non godevano delle più elementari condizioni igieniche di cui oggi godono persone normalissime. Questo non significa che possiamo ritenerci soddisfatti, significa semplicemente che la strada che abbiamo intrapreso non è poi così sbagliata, si tratta di intervenire ogniqualvolta ci accorgiamo di aver perso la rotta. Le istituzioni del mercato sono imperfette come imperfette sono le persone che in esse operano. Solo una visione perfettista e, di conseguenza, totalitaria può immaginare di sostituire il mercato e la democrazia con un apparato centrale pianificatore, mosso dalla presunzione fatale di imporre, magari anche con lacrime e sangue, a persone chiamate ad essere libere e responsabili, una sedicente “infallibile” direzione di marcia, spacciandola per il “senso della storia”.