LA DESTRA SI BATTE A CONDIZIONE DI SALVARE LA COLLABORAZIONE FRA CENTRO E SINISTRA.

Non danneggia il Pd l’eventuale risultato positivo del Terzo polo: Calenda, piuttosto, sembra togliere voti alla coalizione guidata da Frateli d’Italia. Insistere sul confronto diretto Letta-Meloni è un errore, serve solo ad accreditare ulteriormente la leader della destra. In ogni caso, i Democratici devono riposizionarsi, con riguardo soprattutto all’elettorato di mezzo, facendo a meno perciò di parole e atteggiamenti a impronta radicale.

Al rientro dalle ferie comincerà la vera campagna elettorale. Non ci sarà il condimento di pettegolezzi, in specie sulle liste, a confondere il gusto degli italiani al banchetto delle votazioni. Si preannuncia una ripresa difficile, con le famiglie alle prese con il carovita e le aziende in debito di ossigeno per l’aumento dei costi per energia (il gas su tutto) e materie prime. Il confronto tra i partiti e le rispettive coalizioni è destinato a concentrarsi su punti molto precisi, anche di respiro strategico. Non è consigliabile supporre che gli elettori siano attratti irrimediabilmente dagli slogan e non sappiano discernere, in sostanza, quali siano gli obiettivi generali da tenere in considerazione. Il discorso sul bene comune spesso suscita ironie e battute ciniche, ma altrettanto spesso obbliga le persone a riflettere sul proprio interesse in rapporto all’interesse comune, essendo vitale e necessaria tale connessione.

Da qui al 25 settembre l’imponente massa degli astensionisti – superiore per adesso al 40 per cento secondo le previsioni degli istituti demoscopici più accreditati – deciderà l’esito del voto. Non è detto che la destra, tornata a compattarsi dopo essersi divisa negli ultimi 18 mesi rispetto al governo Draghi, con Fratelli d’Italia  sempre all’opposizione, ottenga quella vittoria trionfale iscritta nei pronostici. Molto dipende ancora dal tono della campagna elettorale, da come cioè si articolerà il confronto sui temi decisivi, e quindi sulla incoerenza e inattendibilità del disegno politico della destra. Non è serio, ad esempio, prefigurare la rinegoziazione dei fondi del Pnrr: vuol dire rappresentare l’Italia come un Paese inaffidabile, con partiti (vedi Lega e Forza Italia) che, dopo aver condiviso le scelte del governo Draghi, ora le rinnegano. Sarebbe un danno grave per il futuro del Paese.

La sconfitta della destra non passa per l’ulteriore conflittualità tra Pd e Terzo polo, bensì per la sua sostanziale riduzione. Le differenze non devono compromettere il comune giudizio sulla necessità di fermare la Meloni e i suoi alleati. A questo riguardo insistere sul confronto diretto, nel solco di un nuovo bipolarismo tra Pd e FdI, può avvantaggiare la Meloni in misura inaspettata: è lei che ha bisogno di accreditarsi come leader dialogante e perciò stesso affidabile.

Letta, per altro, se non vuole rimanere prigioniero di un modello di sinistra a vocazione minoritaria, deve riscoprire le potenzialità del pluralismo insite nel raccordo con il “centro” dello schieramento democratico e riformatore. Il dialogo con Calenda e Renzi non deve essere interrotto. Un buon risultato del Terzo polo  si configura, ogni giorno che passa, come una sottrazione di consensi alla destra. In ogni caso, serve un “ricentramento” della posizione e della iniziativa del Pd, abbandonando il vecchio presupposto che impedisce di pensare alla netta distinzione tra centro-sinistra e sinistra radicale. Eppure, su questa linea, Veltroni portò a casa nel 2008 un risultato molto lusinghiero, anche se lontano da quello “straordinario” ottenuto da Renzi nelle europee del 2014.

Dobbiamo allora considerare che una parte dei consensi, dovuti a una politica di responsabilità e moderazione, si trasferiscono all’esterno del perimetro definito e controllato da “questo” Pd. Del resto, voci autorevoli hanno messo in evidenza il tratto radicale della cosiddetta difesa dei diritti. Ciò comporta inevitabilmente una minore capacità di attrazione sul lato dell’elettorato moderato, non solo di orientamento cattolico. Il Pd non può e non deve essere – e men che meno apparire – come il partito dello sradicamento sociale, con l’economia incastrata oltre modo nella logica della globalizzazione, senza regole e valori, e con i corpi intermedi (la famiglia innanzi tutto) sottoposti alla trazione  di un certo radicalismo ideologico, insensibile alla difesa delle identità e del pluralismo.

Il sentiero è stretto, i giorni di campagna elettorale sono pochi, i mezzi per comunicare bene non sempre risultano efficaci o spesso sono deteriorati per effetto del frastuono e della confusione dei messaggi circolanti vorticosamente. Ciò non toglie, però, che lo sforzo di riposizionamento non sia da prendere nella massima considerazione. L’errore più grave è trasmettere alla pubblica opinione un’idea di assertività, quasi di autocompiacimento, immaginando che sia una risorsa, e non invece una iattura, la chiusura nel castello delle proprie certezze e delle proprie abitudini, senza più la necessaria consonanza con l’aspirazione a fungere da perno di una politica equilibrata ed equilibratrice, nel segno del riformismo.