Riteniamo interessante ripubblicare questa riflessione su Piersanti Mattarella, svolta in una circostanza pubblica nel 1986, nell’anniversario della sua tragica scomparsa. Il lettore saprà individuare i punti che implicano un qualche necessario aggiornamento (Redazione)

 

Se il 6 gennaio 1980 Piersanti Mattarella non fosse stato ucciso dalla lucida e spietata determinazione della mafia, oggi avrebbe appena 50 anni. E certamente sarebbe uno dei reali protagonisti della vita politica del Paese.

Credo di interpretare i sentimenti di tutti coloro che, pur non essendo familiari, vissero con dolore quel giorno nell’affermare che da quel momento è cambiato in modo radicale e irreversibile il nostro sentire la politica, il nostro vivere la politica.

Fino all’alba di quel giorno fare politica era un portato naturale del desiderio umano e legittimo di essere protagonisti positivi di un processo di sviluppo e di crescita della nostra Comunità.

Dentro ognuno di noi c’era la convinzione di potere incidere in profondità sulla realtà sociale, economica e civile; c’era la consapevolezza di stare lavorando con dedizione nel senso giusto. Forse eravamo orgogliosi dei nostri piccoli o grandi ruoli.

Quella mattina questo modo di essere in politica fu frantumato.

Tutti nel silenzio della nostra coscienza abbiamo dovuto prendere atto, anche ripensando alla morte di Michela Reina, che da quel momento in poi non bastava essere onesti, leali e responsabilmente dediti ai propri compiti, ma occorreva essere, soprattutto, coraggiosi. Abbiamo dovuto ripensare al perché fare politica nella consapevolezza, nuova, che occorreva trovare motivazioni più profonde ad un impegno così rischioso.

Abbiamo perso le nostre certezze, il nostro orgoglio.

Abbiamo capito che non saremmo stati più in grado di gioire dei nostri successi politici.

Ciò nonostante è maturata in noi la determinazione, che dovevamo continuare, nei modi più opportuni e secondo le competenze ed ì ruoli di ognuno, perché non potevamo abbandonare (tradire), non potevamo far finta di non avere conosciuto, di non essere stati amici di Piersanti.

Ognuno di noi ha dovuto ripensare alla frase di Moro che Piersanti ripeteva continuamente e che volle fosse scritta in calce alla foto dello statista pugliese che teneva nel suo studio “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se non nascerà un nuovo senso del dovere”.

Da quel giorno continuare ad essere in politica è stato, anche, un modo di ricordare, di onorare Piersanti.

Ecco perché l’incontro di stasera non è, per me, e non deve essere, una commemorazione, un semplice rito.

Ed è significativo che questo incontro è stato voluto ed organizzato – nel desiderio di conoscerne il pensiero e l’azione – da un soggetto politico-culturale, quale il Gruppo Politica Giovani, che non ha conosciuto direttamente Piersanti.

Sarebbe infatti tristissimo se per onorare Piersanti, per ritornare con il cuore e la testa alla Sua Persona, attendessimo il 6 gennaio e avessimo bisogno di riunirci in un salone.

Peraltro, sarebbe una mancanza di carità ricordare lui solo e non anche “tutti coloro che hanno voluto e saputo compiere fino in fondo il loro dovere”.

Per chi ha vissuto un rapporto di sincera e profonda amicizia ricordare, onorare Lui – come tutti gli altri – non può non significare che vivere con “le carte in regole”, come amava ripetere con riferimento alta Regione ma anche ai comportamenti individuali, giorno dopo giorno sempre con maggiore determinazione e totalità.

Ed in una simile dimensione ognuno è solo con la propria coscienza e con la Fede se, come Piersanti, credente.

In questo incontro dobbiamo invece assieme riflettere, ragionare sulla sua impostazione politica, sulla sua visione economica, sulla sensibilità sociale che lo caratterizzava.

Dobbiamo chiederci, e chiedere, quanto sia ancora attuale in termini di analisi e di progetto il suo pensiero e verificare quanto è stato realizzato, o non è stato realizzato, in linea con la sua azione di uomo di governo.

Perché come ha acutamente osservato Leopoldo Elia “la dimensione nazionale della sua figura consiste, prima ancora che nella morte subita in ragione del suo ufficio, nella vita spesa a servizio della Comunità e nell’opera di singolare ricchezza da Lui lasciata incompiuta”.

E non è senza significato, almeno per me, il luogo scelto per questo incontro.

Quanti incontri, dibattiti, conferenze, seminari molti di noi stasera qui presenti hanno vissuto in questo salone!

Come non ricordare l’intensità della partecipazione, il livello dei temi trattati, l’attenzione all’ascolto!

Chi può avere dimenticato il profondo sincero affetto, il grande rispetto e l’attenzione con cui Piersanti ascoltava il professore Corsaro, o la vivacità ed il livello dei confronti con Rosario Nicoletti.

Non è mio compito delineare l’impostazione politica, la visione economica e la sensibilità sociale di Piersanti Mattarella, credo, tuttavia, sia opportuno sottolineare due aspetti della Sua personalità che fanno da cornice a tutta la sua opera e che chi ha vissuto quegli incontri, e più in generale quegli anni, sentiva con immediatezza.

Piersanti, come sottolineava Lui stesso nell’articolo sul Giornale di Sicilia dell’11/5/1978, in memoria di Aldo Moro che “aveva scelto come sua guida politica e mora¬le”, sentiva profondamente l’affermazione dello statista pugliese “che primo dovere dell’uomo politico cattolico è quello della comprensione illuminata e serena della realtà, l’impegno di penetrazione e interpretazione di essa”.

Ecco perché il Suo incontrare la gente, il Suo volere discutere, dibattere, approfondire i contenuti della propria azione era sostanziale e non formale.

Se c’era un uomo poco incline a cambiare idea, a modificare le proprie opinioni, questo era Piersanti.

Eppure nessuno come Lui sentiva il bisogno di confrontarsi, di scontrarsi, di approfondire le analisi per poter poi definire le strategie ed i progetti.

Nell’insediare il comitato regionale della programmazione, che aveva voluto con ferma determinazione, affermava testualmente: “il guardare lontano, il volere alzare lo sguardo e pensare anche al domani non è incompatibile con la nostra azione ma, anzi, è necessario e utile perché si sappia a quali obiettivi e a quali linee ci si debba ispirare”.

Per Piersanti una politica senza progetto, una politica senza strategia non aveva dignità.

E l’attaccamento alla Sua “visione” (impostazione) nasceva non tanto da un legittimo orgoglio intellettuale quanto dal vivere col cuore e con la testa la Sua dimensione di un uomo di governo.

E questa Sua passione per la politica, questa volontà ostinata e determinata a contribuire in modo decisivo all’affermazione di un sano sviluppo della nostra Comunità regionale e del Mezzogiorno era palese, visibile.

Non si spiega altrimenti la Sua capacità di attrarre, di coinvolgere, di convincere all’impegno politico anche chi era dubbioso o scettico sulla capacità di rinnovamento del Partito e più in generale della Comunità siciliana. 

Ecco: questa naturale attitudine a coinvolgere, a motivare e poi a sostenere affettuosamente tutti coloro che sentivano i Suoi stessi ideali mi sembra essere il secondo aspetto portante della Sua personalità.

E gli incontri che promuoveva con continuità in questo salone avevano proprio questa duplice finalità: coinvolgere gli uomini, progettare il futuro in coerenza con le idee di fondo di ispirazione cristiana.

Avviandosi a concludere il discorso pronunciato il 25 aprile 1976 nel Teatro dell’Istituto Don Bosco di Palermo, affermava: “Qui è il significato degli incontri che noi, in questi anni, abbiamo fatto, perché non è più tempo di mobilitarsi e di riunirsi alle vigilie elettorali. E’ tempo di seguire insieme, di partecipare insieme, agli eventi che vive la nostra società in maniera attiva e impegnata, perché da questi nostri incontri scaturisca la consapevolezza della necessità di trasmettere ad altre persone taluni concetti, impostazioni e doveri oltre che diritti”. “In qualsiasi occasione: o siamo portatori di alcune idee in cui crediamo o saremo trascinati da minoranze che occupano gli spazi che noi abbandoniamo”.

Un modo di concepire la politica che lo portò, nel tempo, a definire sempre più compiutamente, in coerenza con le sue idee, una strategia di lungo periodo, un complesso di obiettivi intermedi, un sistema organico di strumenti (o di passaggi obbligati), nonché a compiere un insieme di atti politici di valenza nazionale.

Convincimento di fondo di tutta l’impostazione politica di Piersanti era la consapevolezza che la Sicilia, e più in generale il Mezzogiorno, non erano da soli capaci di innescare un processo di sviluppo autosufficiente, che per essere tale in futuro non poteva non caratterizzarsi per una scelta decisamente “industrialista”.

Pertanto occorreva realizzare una strategia caratterizzata dall’unità delle forze meridionalistiche – la più larga possibile e quindi coinvolgendo anche il Partito Comunista – come condizione indispensabile per modificare i rapporti di forza Nord-Sud.

In questa prospettiva gli obiettivi intermedi costituivano la condizione indispensabile per permettere alla Regione di avere “le carte in regola” per interloquire autorevolmente con lo Stato.

“Avere le “carte in regola” che in concreto significava – per Piersanti – risanare gli enti economici regionali, realizzare l’efficienza della spesa pubblica, perseguire la trasparenza nell’azione di governo.

Tutto ciò ponendo in atto un insieme di strumenti (passaggi obbligati) quali il decentramento (avviato con l’approvazione della legge n.1 del 1979 e proseguito con la predisposizione del disegno di legge per la costituzione dell’ente intermedio), la programmazione, la collegialità degli atti di governo e soprattutto il coinvolgimento reale di tutta la Comunità siciliana, nonché dell’opinione pubblica nazionale più aperta attraverso un complesso di atti e di gesti di valenza nazionale

Si pensi alla lettera a Zaccagnini, al rapporto con la Lega Democratica, alla polemica – continua e sempre motivata dal riferimento ai fatti – con le Partecipazioni Statali, alle iniziative per coordinare l’azione politica di tutti i parlamentari siciliani, alle sollecitazioni rivolte alla Confindustria per guardare alla Sicilia in un’ottica non contingente e l’attenzione rivolta all’attività del CNR nella pressante richiesta di una reale valorizzazione delle “intelligenze” del Sud.

Nonché gli inviti rivolti a Roy Jenkins, Presidente della Commissione Esecutività della Comunità Economica Europea, e a Sandro Pertini.

Questa era la politica di Piersanti Mattarella.

li significato, il valore e l’attualità di essa non sta tanto – a mio giudizio – nel merito specifico dei singoli punti, sia di quelli strategici che intermedi, quanto piuttosto nella sua profonda e coerente strutturazione unitaria, capace di coniugare le singole azioni quotidiane con il progetto complessivo. 

A mio giudizio l’insegnamento fondamentale di Piersanti è questa lezione di metodo e non tanto i contenuti, che sicuramente, oggi, lui stesso avrebbe rivisto in connessione al mutamento della realtà.

Credo sia superfluo presentare gli amici che interverranno. Mi sia consentita un’ultima notazione. Nei giorni che seguirono il 6 gennaio molti di noi avvertirono il vuoto perché sembrò dissolversi con il suo autore la prospettiva politica, nuova, capace di rispondere ai bisogni della Sicilia.

A sei anni di distanza rimane un vuoto umano e politico incolmabile ma non possiamo non constatare che non uno ma molti sono oggi gli uomini all’altezza dell’impegnativo compito di contribuire in modo decisivo al bene della Sicilia.

E nel Partito, nelle Istituzioni, nel Sindacato, nella Comunità civile e nel mondo della cultura è possibile individuare punti di riferimento certi.

I relatori di questo nostro incontro – pur nella diversità delle loro storie personali e dell’impegno politico – sono certamente fra questi; a riprova che l’insegnamento di Piersanti non è stato l’astratta esercitazione di un “intelligente” ma la concreta realizzazione di un autentico politico.

Abbiamo parlato di Piersanti come amici, in quanto tali eravamo, ma credo che ne offenderemmo la memoria se, per tali, ci ritenessimo gli interpreti autentici del suo pensiero o, peggio, gli eredi della sua costruzione politica.

Chiunque, ed in tal senso è emblematica l’iniziativa del Gruppo Politica Giovani, ha tutto il diritto, e direi il dovere, di sentirlo come parte della propria storia politica.