I bambini, gli adolescenti, persino i neonati sono le vittime innocenti di questa mattanza criminale: non ci sono giustificazioni di fronte al loro sacrificio fatto di morti, di amputazioni, di terrore. Questo è l’aspetto più crudele della guerra. Le conseguenze dureranno per sempre, un eccidio di bambini alle porte della civile Europa e della Russia ricca di storia e di cultura è una cosa inaccettabile al cuore.

La bandiera ucraina che sventola sul pennone accanto alla colonna di Majdan Nezaležnosti (Piazza Indipendenza) e nei palazzi governativi che le stanno attorno al centro di Kiev, sarà l’ultimo presidio della resistenza a capitolare, se le armate russe prenderanno possesso della capitale esautorando il Governo di Zelens’kyi, oppure sarà il simbolo attorno al quale si stringerà idealmente il popolo che è rimasto a difendere ciò che resterà di una mattanza, se l’indipendenza del Paese sarà conservata.

Mentre scrivo ogni esito è incerto: le trattative proseguono a fatica mentre la carneficina dei civili locali e dei militari dei due eserciti segna ogni giorno un nuovo drammatico evento. Mariupol è la città simbolo del massacro, dopo l’ospedale pediatrico, le scuole e le case è stato bombardato il teatro dove avevano trovato rifugio centinaia di civili, al momento sotto le macerie: conta sapere chi è morto e chi sopravvissuto?

La morte è atroce ma restare perdendo tutto, casa, famiglia, lavoro e sopravvivere in un contesto surreale, devastato, spegne le energie residue e le speranze. L’eccidio dei 13 cittadini di Chernihiv, un sobborgo nei pressi di Kiev, che erano in fila in attesa di un pezzo di pane, tutte falciate dal fuoco russo, è un altro episodio di crudeltà criminale: l’uomo diventa bestia sopraffatto dall’odio e dall’ordine di distruggere tutto, i civili che periscono sono uno spettacolo atroce di fronte al quale il mondo resta attonito, anche se non silente. Resta da chiederci se potevamo in qualche modo fare qualcosa per fermare lo scempio: la guerra va evitata con ogni mezzo, ma bisogna mettere in campo alternative che portino ad una soluzione. I bambini, gli adolescenti, persino i neonati sono le vittime innocenti di questa mattanza criminale: non ci sono giustificazioni di fronte al loro sacrificio fatto di morti, di amputazioni, di terrore. Chi rimane porta cicatrici e  cancrene per sempre. 

In ogni evento bellico i minori sono predestinati alla soccombenza: può riguardare loro stessi o la perdita dei genitori, degli affetti, della quotidianità protettiva, delle amicizie, della scuola, lo sconquasso emotivo che resta negli occhi e nel cuore di chi all’improvviso si trova solo, tutto ricomincia da capo ma nulla può sostituire un’infanzia spensierata violata dall’atrocità di una guerra, ci vogliono anni, decenni, non basta forse una vita intera per rimarginare il repentino e improvviso squarcio dell’esistenza. Contano i supporti psicologici per recuperare, ma soprattutto lo slancio d’amore di chi si prende cura.

Secondo un rapporto del 20/11/2020 di Save the Children – “Killed and Maimed: A Generation Of Violations Against Children In Conflict”- si contavano 93.236 minori uccisi o mutilati nelle guerre degli ultimi dieci anni: a conti fatti l’equivalente di una classe di 25 alunni ogni giorno.

La resistenza militare e civile armata degli ucraini, i corridoi umanitari aperti non senza difficoltà dalla Croce Rossa internazionale o dagli allontanamenti volontari dalle case distrutte delle città in fiamme, hanno portato fuori da Paese ad oggi circa 3 milioni di persone (i numeri sono incalcolabili), di cui almeno un terzo sono minori: alcuni accompagnati dalla madre o dai nonni, da amici, altri che si sono incamminati da soli verso l’ignoto. Molti hanno trovato rifugio nei Paesi limitrofi, soprattutto in Polonia, esemplare nell’accoglienza organizzata.

Altri hanno raggiunto località più lontane, con mezzi organizzati o di fortuna, altri prelevati al confine da parenti che già vivono in Europa. Anche questo esodo forzato e spesso senza meta per sottrarsi a morte certa è un crimine contro l’umanità, specialmente se a subirne le conseguenze sono bambini e adolescenti, ma anche anziani che lasciano la loro terra per sempre.

Mentre scrivo ricevo una videochiamata: mio figlio mi fa salutare da Sasha, un bel maschietto di 4 anni che giunge con la mamma da Chernivsti con un pullman organizzato dalla comunità ucraina che vive a Milano, poi proseguiranno per Genova da parenti. Sasha mi fa ‘ciao’ con la manina, mentre mangia un gelato: suo padre è rimasto a combattere al fronte in Ucraina, prego il Signore che un giorno possano ricongiungersi e ricominciare una nuova vita. I suoi occhi brillano di innocenza ma sono allucinati dal terrore visto e vissuto in questi giorni. Di un’altra bambina – anche lei Sasha, 9 anni, il nome non è di genere —  mi arriva invece sul cellulare una foto atroce: seduta in un lettino di ospedale, ha un braccio amputato: è stata bersagliata con i suoi familiari da una raffica di proiettili mentre fuggivano in auto da Irpin, il padre è stato ucciso. 

Lei chiede “Perché mi hanno sparato”? Una domanda che dovremmo porci tutti.  Poi in sequenza circa venti giovani militari di leva russi mandati ad uccidere: anche molti di loro muoiono e non sanno il vero motivo, eseguono ordini e un giorno si chiederanno: “Perché l’ho fatto?”. La risposta che Sasha attende

Poco sotto un’altra istantanea mostra di schiena una bimba di 5 o 6 anni adagiata, uccisa nel bombardamento di un orfanotrofio: sembra che dorma, ha due treccine composte, ma è già volata in cielo. L’Onu ha reso noto che ad oggi si contano ufficialmente 104 minori uccisi dalla guerra, ma dopo il macello al teatro di Mariupol e quello che deve ancora accadere il numero è destinato a crescere.

Viene da chiedersi come la sera possa prender sonno Putin, che certamente vede le immagini di queste vittime innocenti. Questo è l’aspetto più crudele della guerra. Le conseguenze dureranno per sempre, un eccidio di bambini alle soglie della civile Europa e della Russia ricca di storia e di cultura è una cosa inaccettabile al cuore. Le porte dell’Italia si sono spalancate all’accoglienza: siamo pieni di difetti ma il sentimento non ci manca. Le adozioni internazionali sono rallentate e spesso bloccate da veti e burocrazia. Ma la forza del cuore e la consapevolezza di assistere ad una tragedia umanitaria che ha le sembianze degli orrori dell’Olocausto ci spinge irrefrenabilmente ad accogliere: è un dono del Signore anche per noi accettare e integrare nella nostra vita quotidiana queste persone sfortunate che hanno perso tutto, specie i bambini. 

La carità non è pelosa ma gratuita, come diceva San Paolo è la più grande virtù: non consiste nel concedere ma nel condividere. In questa epoca così incerta ed effimera, che ha perso troppi valori in nome dell’egoismo e dell’indifferenza, tendere la mano, aprire le porte ed accogliere ha le sembianze di un riscatto e di una opportunità di redenzione. 

Anche per noi.