La magia di Elly Schlein

Di fronte a una leadership così ricca, di sorprese, come quella della Schlein, non può bastare la constatazione del cambiamento della natura del Pd. Occorre accompagnare la riaggregazione al centro dei Popolari con un programma in stile sturziano, capace di esprimere gli orientamenti programmatici decisivi per la nostra epoca e su questo misurare le affinità e le distanze con le altre forze politiche

Giuseppe Davicino

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Mentre i media parlano della vita, e dei miracoli (già tanti) nella carriera politica, della più giovane segretaria nella storia del Partito Democratico, Elly Schlein, conviene prestare attenzione ai prodigi che la neosegretaria del Pd si appresta a compiere per il futuro. Portenti resi possibili, oltre che per lo straordinario carisma del personaggio, da uno staff della comunicazione di prim’ordine e dalla stampa, nazionale e internazionale, che non vede l’ora di narrarne le gesta.

Se il buongiorno si vede dal mattino, una prima avvisaglia di cosa potrebbe essere la segreteria Schlein la si può intravedere dal dibattito che subito si è avviato a urne delle primarie Pd ancora aperte, sul grado di affidabilità atlantica della ex vicepresidente dell’Emilia Romagna con cittadinanza americana. Data l’estrazione socio-culturale della neosegretaria, discutere della sua fedeltà all’atlantismo sembra piuttosto audace: è un po’ come dubitare che il papa sia cattolico. Avanti di questo passo e presto una minoranza “pacifista” nel Pd schleiniano portà spuntare come un fungo, senza incidere sulla linea dell’Italia ma stuzzicando il consenso della ampia maggioranza degli italiani contraria ai coinvolgimento dell’Italia nella guerra ucraina.

Nel frattempo si discute di come abbia potuto una indipendente, tesseratasi al Pd solo un po’ prima delle primarie, sovvertire un risultato che l’ha vista a nettamente perdente nel voto degli iscritti. Avrà potuto contare sul voto d’opinione o su una rete organizzativa informale attirittura più efficiente di quella mitica dell’ex-Pci? Sono misteri, che hanno accompagnato questo altro miracolo di Sant’Elena da Bologna.

In lei come per magia sembrano poter convivere e coincidere gli opposti, prerogativa che Niccolò da Cusa riservava al divino. Come la sua biografia multiculturale e cosmopolita, la sua oggettiva appartenenza all’establishment internazionale, che si trasforma nella percezione comune in outsider, in rappresentante del popolo della sinistra che rompe gli schemi delle nomenklature di partito.

Con questi precedenti, ora che è salita alla ribalta della politica nazionale, alla Schlein nulla sembra precluso. Aiutata anche dal fatto di essere il capo dell’opposizione, di non dover quindi seguire in modo stringente la realpolitik che invece sta logorando un governo che soprattutto in economia e in  politica estera e energetica sembra molto attento a non avventurarsi troppo oltre il perimetro dell’agenda Draghi. Non appare azzardato prefigurare per la giovane segretaria una ascesa radiosa alla Renzi seppur con ideologia diversa. È chiaro che di fronte a una leadership così ricca, di sorprese, non può bastare la constatazione dell’oggettivo cambiamento che ha impresso alla natura del Pd. Un giudizio che rimane per lo più circoscritto nella cerchia degli addetti ai lavori. Perché la percezione fra gli elettori non è affatto detto che coincida.

Serve probabilmente altro ai Popolari per proporsi come una alternativa riformatrice e sociale alla politica radicale e solo apparentemente di sinistra della Schlein ma in realtà funzionale agli interessi e al progetto di società sostenuto dall’élite ultraricca. Se non può che essere il centro l’area politica nella quale riaggregare forze e  mondi vitali popolari non più rappresentati negli attuali partiti, è anche vero che si tratta di una condizione non sufficiente per il rilancio della cultura politica cattolico-democratica e popolare. Rilancio che potrà avvenire solo se si saprà interpretare l’inquietudine della classe media per le talora discutibili modalità in cui viene attuata la transizione ecologica e quella digitale, e per una insistenza sull’affermazione di un unipolarismo in campo internazionale che appare anacronistico, pericoloso e che sta costando moltissimo in termini di abbassamento di tenore di vita, ai ceti popolari.

Solo se si riesce a abbozzare una lettura delle questioni cruciali del presente, a tratteggiare e indicare il modello di società che si intende costruire attraverso i cambiamenti in corso, infondendo fiducia ai ceti sociali più penalizzati, ponendosi il problema di come garantire uno spazio a tutti in una società futura che le tecnologie centralizzate e una inaudita concentrazione della ricchezza vorrebbero invece solo a misura di pochi – tra i quali gli sponsor della Schlein –  si potrà fare breccia in un elettorato di popolo disilluso, disorientato quando non sconcertato per strategie in atto deliberatamente contrarie al buonsenso e al bene comune.

Gli spazi al centro in seguito all’elezione della Schlein alla guida del Pd, si aprono ai Popolari se nel contempo si inizia a definire un programma in senso sturziano, sulle linee guida di una politica alternativa a quella di un partito radicale di massa qual è divenuto il Pd dopo l’esito delle primarie, e se su questo si sa misurare le affinità e le distanze con le altre forze politiche.