Ricordare, per migliorarsi, dovrebbe essere un principio forse da includere nelle prima parte della nostra Costituzione. A ben riflettere un Paese, una comunità, senza che la memoria diventi ricordo diventa il luogo dell’oggi e del futuro incerto. Ecco che il giorno della Memoria a 75 anni dalla liberazione di Auschwitz, è l’occasione per un ricordo che crediamo debba essere, non banalmente rituale, ma sostanziale. Una riflessione su come sia, a volte, immemore la quotidianità del nostro paese e come del pari forte debba essere il richiamo di tutte le persone di buona volontà per restituire il ricordo di cosa sia stato il travaglio della dittatura, delle indegne Leggi Razziali ed il riscatto che ci ha, poi, garantito questi 75 anni di democrazia e benessere. 

Capire e curare la nostra Comunità nazionale è il modo più degno per commemorare ogni giorno, non solo le vittime della furia nazista, ma anche tutti i caduti per la democrazia e per il Paese. 

Un grande ebreo italiano, Primo Levi, ci indica la strada : “occorre essere diffidenti con chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici: dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà. Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. È meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento e che possono essere verificate e dimostrate 

Si tratta di riflessioni che credo possano, a buon diritto, essere considerate presupposto tacitamente condiviso dagli amici che, con semplicità ma determinazione, hanno dato vita a Politica Insieme e di tutti quelli che, poi, hanno sottoscritto il Manifesto. Un gruppo di persone di buona volontà che si sono poste il problema di agire per restituire vivibilità e tolleranza al Paese.  

La nostra non è la pretesa di offrire novità miracolose, ma è quella di riscoprire una tradizione politica che, in ragione del suo fondamento, riteniamo non abbia mai perso la sua forza propulsiva. “Lo slogan più efficace, almeno per i cattolici democratici, rimane dunque questo: contro il populismo serve riscoprire il popolarismo. In questo momento storico, la ragione da invocare e praticare senza esitazioni è, per noi, quella scritta nella Costituzione e nella Dottrina sociale della Chiesa. Due baluardi che ci indicano all’unisono la via della tolleranza, del rispetto della vita e del prossimo. 

Chiedersi quale siano le radici del nostro impegno e, alla luce dei principi in cui crediamo,  tentare di fare un’analisi sulle ragioni del disagio profondo in cui si trova il Paese è il modo più degno e serio per ricordare ed operare affinché  il seme della violenza si estingua.       

I sottoscrittori del Manifesto, si trovano con determinazione, quindi, in questa linea di pensiero ed azione che riteniamo abbia ancora vigore intrinseco e, quindi, piena ragion d’esser. 

Il compito non è semplice e richiede l’umiltà delle sfide alpinistiche più difficili. Preparazione e capacità di discernimento. Dobbiamo sentire su di noi gli occhi smarriti della parte migliore del Paese, quella che lotta per la sussistenza propria e dei propri figli, i pensionati, i giovani che trovano tutte le strade sbarrate perché intasate dalla mala politica, e pensare che la stagione immorale del divagare è finita.

 Subito azioni concrete ed utili, per rimettere in carreggiata un paese allo sbando. Solo così si potrà ricostruire fiducia e consenso attorno alle istituzioni repubblicane. “Un consenso da organizzare affinché la Solidarietà, la Sussidiarietà, il rispetto della dignità umana e la Giustizia sociale tornino al centro della vita delle istituzioni

Dobbiamo, quindi, sforzarci di capire quali siano le reali priorità, cercando di domare il nostro legittimo desiderio di porre mano a tutto e subito. 

La Scuola, l’Industria e l’Impresa, la Giustizia e la Pubblica Amministrazione, la Legge Elettorale e ultima, ma non per ultima, la corruzione, un filo rosso che attraversa tutti gli altri temi, pervasivo e gravemente destabilizzante. 

È imperativo mettere mano al sistema educativo partendo dalle fondamenta, la scuola elementare, fino all’Università ed oltre. 

Una buona scuola elementare è quella che consente ai bambini di organizzare razionalmente il proprio essere, in vista del proprio futuro. In tal senso non possiamo consentire che le nuove generazioni non siano padrone delle lingua italiana, non solo sul piano grammaticale ma anche del lessico. I dati che emergono sono quelli di bambini e ragazzi dotati di un bagaglio lessicale che è la metà, se non meno, di quello dei loro genitori. Minor competenza e minor conoscenza della lingua italiana corrispondono a minore libertà e capacità d’inserimento nel mondo, non solo del lavoro. 

In sintesi minor Democrazia per tutti. Discorso analogo anche e forse soprattutto per la matematica. Nel 2006 i laureati erano solo 600, nel 

2018 sono passati a 1028 su di un totale di 300.000; si tratta numeri che sollecitano azioni immediate.

 Va rafforzata la competenza dei docenti e la loro autorevolezza e dignità, anche sul piano salariale. Poter essere buoni maestri è la precondizione per essere maestri di vita, perché “le materie devono essere veicolate come modelli per insegnare a vivere.

Il capitolo dell’Industria, con quello della Giustizia, risulta essere quello strategico cui porre mano. 

La storia industriale italiana si segnala per una presenza importante ma non sufficiente della grande industria con una corrispondente rilevante presenza di imprese industriali di piccole e piccolissime dimensioni. Le seconde non possono vivere senza una grande industria che le sostenga, in una rete di reciproco sostegno. Tale circostanza assume una rilevanza assai importante, anche sul piano geopolitico, laddove si ponga mente al fatto che le imprese italiane metalmeccaniche del nord vedono tale rapporto di reciproco sostegno ormai affidato, in larghissima misura, agli ordini della grande industria tedesca. Certamente si tratta di un fenomeno che si è accresciuto a partire dallo smantellamento dell’industria di stato. 

Sono poche le imprese che riescono a fare innovazione vedendo quindi pericolosamente ridotto il proprio ruolo nella catena del valore. 

È quindi imprescindibile una radicale revisione delle politiche industriali del Paese, a tutti i livelli. Oggi esiste un notevole numero di soggetti deputati ad intervenire con fondi pubblici sia a sostegno delle Imprese sia nelle situazioni di crisi strutturale. L’assenza della politica, e la debolezza del sistema dei controlli anche giudiziari, ha consentito in questi anni un vero e proprio shopping finalizzato non al rilancio delle attività in crisi ma all’ottenimento di soldi pubblici per poi trasferirli all’estero. I fatti  di Termini Imerese e di Blutech, non sono isolati. 

Il caso dell’ILVA sollecita ad una presenza più penetrante dello Stato a tutela della salute e delle industrie strategiche per il Paese. Ieri il ministro Provenzano è andato al primo “colpo di ruspa” a Bagnoli: “ ci scusiamo per il ritardo”. Ma dopo 25 anni di ritardo come ci si può scusare ?! qui l’educazione non c’entra. Qui non c’è stato e non c’è rispetto per i cittadini campani. Non possiamo non temere anche per i tarantini.  Ecco perché Stato ed enti locali potrebbero farsi carico degli aspetti relativi alla bonifica ambientale. Si potrebbe dar vita, pertanto, ad un modello di gestione, ripetibile nel paese, che costituirebbe un anello importante nella catena produttiva, anche perché rivolto al risanamento ambientale. C’è il precedente della SOGIN, costituita per lo smantellamento delle centrali nucleari, che, seppur con alterne vicende, potrebbe essere un riferimento. Certo bisogna anche individuare managers capaci e fedeli alla Costituzione. 

Il presidente Einaudi era contrario ai monopoli. A noi spetta dire con tutta la forza necessaria che i Monopoli naturali, quali ad esempio le autostrade, se gestiti dal privato debbono assicurare alla Comunità statuale due requisiti minimi. In primo luogo la sicurezza e funzionalità dei trasporti ed in secondo luogo un ritorno economico significativo per lo Stato concedente. 

Se vengono meno queste condizioni la gestione deve passare in mani che garantiscano, in concreto, di assicurarle. L’attuale situazione ha palesato gravissime carenze, come ha constatato in modo formale un Gruppo di lavoro, istituito con DM n. 119 del 2019 del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, per cui le conseguenze paiono necessitate. 

Altro tema cruciale è quello della legge elettorale. Einaudi ci offre, anche, lo spunto per una breve riflessione sul sistema elettorale. Com’è noto egli fu un sostenitore del maggioritario e scrisse il celeberrimo articolo, poi inserito nel volume Il Buongoverno, “Contro il proporzionale”. L’evoluzione delle nuove tecnologie ed il radicale cambiamento della società sembrano aver spostato i difetti che Einaudi vedeva nel proporzionale anche al sistema maggioritario, quantomeno nella sua applicazione in Italia. Si legge infatti nella conclusioni dell’articolo: “nessun parlamento, nessun governo funziona se il sistema elettorale irrigidisce i partiti, le classi, i ceti sociali, le tendenze, le idee dandone la rappresentanza esclusiva a talune persone elette perché mandatarie di quei gruppi o quelle idee.  Non siamo forse oggi caduti in mano a “padri padroni dei partiti “ ben peggio del frazionismo partitico che caratterizzò la prima repubblica ?! Prosegue Einaudi …” occorre vi sia un congegno il quale obblighi le idee, i gruppi, i ceti … a rivolgere la propria azione verso quel fine che ha il consenso dei più”. Noi crediamo che questo “congegno”, in una democrazia parlamentare, debba torna ad essere – seppur con i suoi difetti – un sistema elettivo improntato alla chiara proporzionalità. Non si può e non si deve tacere il fatto che il sistema proporzionale ha garantito, per oltre quarant’anni, al Paese democrazia, pluralismo ed una crescita economica che non ha avuto pari in Occidente. Un sistema elettorale, quindi, che assicuri alle Comunità la possibilità di eleggere un rappresentante radicato, riconoscibile da chi lo vota e lo fa eleggere. I Partiti dovranno, quindi, tornare ad essere luogo di discussione ed elaborazione politica, nel pieno rispetto del metodo democratico. Il maggioritario in questi anni ha dimostrato non solo di non aver eliminato il trasformismo ma lo ha reso selvaggio.  

Abbiamo 1 milione e mezzo di bambini in stato di povertà ed una corruzione dilagante, due fatti intollerabili. don Sturzo nel suo saggio, dei primi del ‘900, Le Tre Malebestie, indicava i vizi capitali del Paese nello statalismo, nella partitocrazia e nello sperpero del denaro pubblico. 

Sembra che il tempo in questo Paese non passi mai e che ci si ritrovi sempre, come in un beffardo gioco dell’oca, al punto di partenza. Anzi, oggi pare che quella casella del Via sia come arretrata, come risucchiata in un gorgo, fino a rendere impossibile ripartire. C’è pochissimo da dire e molto da fare, senza esitazioni. La corruzione non è solo accettare del denaro per compiere un atto d’ufficio od ometterlo o peggio per compiere un atto contro la legge. È corrotto anche colui che non svolge con puntualità il proprio lavoro, chi disattende le proprie funzioni per favorire l’amico od il sodale, anche senza corrispettivo, chi non avendo le competenze accetta incarichi pubblici o privati. In una parola chi non fa ciò che deve. 

Il lavoro contro questo male, che attraversa come un impalpabile filo rosso tutti gli argomenti fin qui trattati, deve partire dall’educazione elementare, come avveniva una volta. Ai bambini bisogna tornare a dire: non rubate …, e state buoni, se potete… 

La Pubblica amministrazione è un corpaccione largamente ridondante, uno Stato nello Stato. Diffuso, come i vasi sanguigni nel corpo umano, tentacolare al pari della sua prevalente vanità. Vasi vieppiù otturati, quando non dotati di circolazione extracorporea e, talora, extralegale. 

Una unità in più o in meno può determinare una diseconomia gestionale. C’è da chiedersi come possano funzionare uffici pubblici palesemente sovradimensionati. Se la Francia ha il quadrupolo dei dipendenti pubblici della Germania, l’Italia ne ha il triplo.  

Se ci sono ambiti in cui si registrano carenze bisogna domandarsi se questo non dipenda piuttosto da una legislazione eccessivamente garantista a favore di questa o quella categoria di dipendenti pubblici. 

Un capitolo a parte è quello della Magistratura. Bisogna ripensare all’autogoverno per garantire la reale indipendenza dei Magistrati e la loro effettiva soggezione alla sola legge. La recente vicenda del CSM è la punta dell’iceberg.  Un grande giurista e Giusto Tra Le Nazioni, Arturo Carlo Jemolo in uno scritto, promosso dal Ministero per la Costituente sotto il titolo “Guide alla Costituente”, ebbe in proposito a scrivere: “si potrebbe anche considerare l’eventualità di ricorrere, per la scelta dei magistrati di un certo grado, alle elezioni popolari, come già avviene nei paesi anglosassoni…”  

Il tema è delicato. Proprio per questo deve essere affrontato con il metodo democratico, che deve vedere il Parlamento sovrano.

 Il professor Jemolo, concludeva, il breve saggio, ammonendo che “né la pace dei popoli, né la giustizia sociale, né alcun altro bene è suscettibile di conquiste definitive: ogni generazione deve dare la sua prova; che la nostra sia all’altezza del suo compito e possa essere d’esempio a quelle che seguiranno” 

Il cattolico Jemolo ci passa un testimone oneroso; ecco, quindi, la sfida cui siamo chiamati.

 Ognuno di noi ha esperienza diretta delle difficoltà in cui versa la popolazione italiana. Difficoltà che sono trasversali a tutte, o quasi, le categorie di cittadini e a tutti i gruppi sociali. Varia l’indice di gravità, non varia il diffuso ed ansiogeno senso di estraneità rispetto alla cosa pubblica, spesso percepita come qualcosa di ostile da cui ci si “deve” difendere. Il sentimento che prevale è la paura ed alcune forme di reazione infastidita ne sono la prova.

Certamente l’evoluzione della società moderna, con il prevalere prepotente della vita non più nelle piazze fisiche ma i quelle “social”, ha traghettato il rapporto tra simili in un rapporto tra distanti e diversi, o supposti tali. Distanti e diversi perché attraverso la mediazione dei mezzi di comunicazione virtuale ognuno tende ad offrire, di se ed a se stesso, una realtà spesso ricostruita in funzione di modelli astratti e sincopati. L’io reale lascia il posto all’io virtuale, ed alle sue fragilità. 

Ecco che emergono i “profeti” da cui Primo Levi ci mette in guardia. Le persone non trovano risposte alla fatica di vivere, che oggi ha raggiunto livelli di guardia; lo Stato lungi dal rassicurare è percepito come un nemico invincibile. Invincibile perché – a volte barando- vince sempre. Vince sempre anche perché il cittadino è seppellito dalla proliferazione normativa, abnorme ed incomprensibile. Il buon legislatore, del prossimo futuro, è quello che saprà semplificare, diradando. La politica odierna è ridotta ad una grande rissa, ogni colpo è permesso. 

Dobbiamo sforzarci di tornare all’essenza del messaggio cristiano, all’amore per il prossimo “anche quando pare impossibile”, vero antidoto al razzismo.

La sintesi, necessitata, tra i cattolici della morale e quelli del sociale non può, quindi, che doverosamente comporsi in una ritrovata unità d’azione politica.

 Stefano Zamagni, in un suo recente, breve ma, efficacissimo intervento, indica proprio questa strada per i firmatari del Manifesto: “diventare un partito “ibrido” che, superando la cesura, riesce a far stare insieme nella propria piattaforma programmatica le due dimensioni. E questo è possibile, anche se un po’ laborioso. … in natura è l’ibridazione la legge fondamentale dell’evoluzione.”

Pertanto “servono progetti e rappresentanze credibili, che riferiscano l’azione politica ai valori popolari cui si riferisce la Costituzione, partendo dalla persona e dalla comunità, dalla pace e dalla solidarietà”. 

L’ambizione di chi ha sottoscritto il Manifesto, in semplicità ed adesione ai valori del rispetto della vita, della giustizia e della democrazia, è quella di restituire alla politica la sua profonda ragion d’essere che, come ammoniva Benigno Zaccagnini, consiste nel lavorare per dare “concretezza alla Speranza”. 

Vivere ragionando, con il cuore in mano  per non dimenticare, perché insieme è possibile sconfiggere la solitudine e la paura.