Questa replica, indirizzata con schiettezza e simpatia a Francesco Provinciali, intervenuto ieri, mette in guardia rispetto alla facile critica delle degenerazioni architettoniche e urbanistiche dei centri montani, quasi sempre piccoli. 

Caro direttore, la montagna come ri-abitazione non si affronta affatto come sembra descrivere Provinciali. Ammesso pure che il suo Trentino sia la montagna per definizione, come asserisce; cosa che non lo è: montagna sono le Graie, le Pennine e le Lepontine; i dolomitisti – le Dolomiti sono prealpi – al massimo riescono a vantare qualche concrezione rocciosa appoggiata nei prati e un monte come la Marmolada che supera di poco i 3.000 metri, mentre un monte qualsiasi della Valle d’Aosta come l’Emilius, che si staglia subito dietro i 500 metri della Città di Aosta, da solo raggiunge i 3.500 metri, e non è neanche considerato.

Eppoi cosa dovrebbe fare un abitante di questi paesi montani? Custodire tradizioni e memorie undici mesi all’anno, ‘conservando’ le architetture – come dice Provinciali – in nome di non si sa quale concetto di ‘autenticità’ – per ospitare le vacanze del milanese o del vicentino o del fiorentino il dodicesimo mese? Assurdo. 

Come dico e diciamo da tempo (siamo anche nella neo Commissione Ministeriale per ridefinire i concetti di paese montano, ma non a caso le posizioni diverse sono tante), il problema è riabitare non con la retorica trombonistica delle tradizioni, ma con gli investimenti per far ri-sorgere comunità locali imprenditive di se stesse, le aree appenniniche (progetto nazionale Focus Appennino) e alpine (SNAI, dentro il sistema nazionale Aree Interne), come meglio di chiunque altro per ora ha spiegato Giovanni Teneggi. 

Non è la linea di Provinciali, che risente di una logica del classico turista metropolitano magari un po’ più illuminato (e non so se sia un bene). Io vado in montagna dai primi Anni ’60, mai al mare, sono stato ogni anno in Valle d’Aosta dal 1977 e anche in aree dolomitiche, ho fatto l’alpinista e scalato il Cervino e altri Quattromila. Un po’ me ne intendo.