LA NORMA ANTI-RAVE HA SUSCITATO REAZIONI ASPRE, ORA L’OPPOSIZIONE PROPONGA CORREZIONI SERIE.

 

L’allarme lanciato da più parti non può essere relegato a mera polemica politica. Poiché la norma è ormai in Parlamento, sarà in quella sede che dovrà essere svolta un’attenta e responsabile valutazione da parte di tutte le forze politiche. Fare un’opposizione frontale chiedendo tout court il ritiro della norma non appare realistico né produttivo. Il confronto si può svolgere tenendo insieme fermezza e responsabilità.

 

Alberto De Gaetano

 

Fior di giuristi hanno commentato la disposizione recentemente emanata dal Governo, attraverso un decreto-legge, in materia di “raduni pericolosi” o “rave”, criticandola sia dal punto di vista dello strumento usato sia nel merito. In sostanza: lo strumento usato, previsto dalla nostra Costituzione in casi di necessità e urgenza, non appare giustificato nella circostanza e, nel merito, la norma risulta non in linea con le dichiarazioni governative che insistono a dire che essa concerne solo il contrasto ai c.d. rave e non intacca affatto il diritto di libera espressione e manifestazione del proprio pensiero costituzionalmente garantito. Anzi, alcuni esponenti politici sono arrivati a dire che chi si oppone ad essa si fa addirittura complice dell’illegalità. Mentre, in campo avverso, c’è chi teme, allarmato, che tale disposizione preannunci l’avvento di uno Stato di polizia.

 

Anzitutto va ricordato che l’art. 5 del provvedimento introduce nel nostro Codice penale una nuova fattispecie di reato rubricata “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Il reato scatta a carico degli organizzatori se più di 50 persone invadono “arbitrariamente” terreni o edifici altrui, pubblici o privati. La sanzione è assai pesante: da tre a sei anni di reclusione. Oltre una multa fino a 10000 euro. Per chi partecipa, la pena è “diminuita”.

 

Non serve molto per capire che questa descrizione di reato, così generica e con ampi margini di discrezionalità, può ben applicarsi anche ad una manifestazione studentesca, ad uno sciopero sindacale, ad una qualsiasi altra manifestazione o raduno di persone. Ora è ben vero che i rave, anche per le caratteristiche che li contraddistinguono e per gli esiti che assai spesso le cronache riportano in termini di danni a persone e cose, non appaiono quegli eventi culturali che pure qualcuno ha voluto accreditare.

 

Ma c’è da chiedersi anzitutto se per contrastare questo fenomeno non sia sufficiente applicare le leggi già esistenti e comunque, se proprio si vuole introdurre una disciplina ad hoc, se la configurazione così generica del nuovo reato non possa estendere i suoi effetti anche oltre le intenzioni dei suoi presentatori. Pertanto l’allarme prontamente lanciato da più parti non può essere relegato a mera polemica politica. Poiché la norma è ormai in Parlamento, il quale dovrà convertire il decreto-legge entro 60 giorni pena la sua decadenza, sarà in quella sede che dovrà essere svolta un’attenta e responsabile valutazione da parte di tutte le forze politiche e che andrà, quindi, verificata quale sia la reale intenzione di Governo e maggioranza.

 

E qui si giocherà anche la capacità politica del centrosinistra: fare un’opposizione frontale chiedendo tout court il ritiro della norma non appare realistico né produttivo perché porterebbe ad un arroccamento delle posizioni che non gioverebbe alla redazione di una norma definitiva chiara ed inequivocabile.

 

Da parte di FI si è ipotizzato di rivedere il livello della pena della reclusione, per portarla da sei a quattro anni, in modo da evitare il ricorso automatico alle intercettazioni, misura considerata eccessiva in tale contesto, ma non risulta che in seno alla maggioranza vi sia unità di vedute al riguardo, così come assai controverso tra i partiti di governo è il dibattito relativo alla precisazione della fattispecie di reato.  Penso che un’opposizione dura ma responsabile non possa esimersi dal pretendere non solo l’esclusione del ricorso alle intercettazioni ma, con la presentazione di propri opportuni emendamenti e con un intelligente confronto parlamentare, che il testo definitivo fughi ogni ombra di dubbio sulla volontà della maggioranza di non intervenire su fattispecie diverse da quella dichiarata e che risulti, quindi, chiaro che la portata della norma non possa in alcun modo porre in discussione la libertà di espressione e manifestazione del proprio pensiero, diritto fondamentale in un Paese democratico.

 

Peraltro i tempi parlamentari rischiano di non aiutare. Infatti contemporaneamente alla conversione del decreto-legge, il Parlamento sarà chiamato ad approvare entro fine anno anche la legge di Bilancio per il 2023, il cui iter è già in notevole ritardo. È auspicabile che chi ne ha la responsabilità sappia organizzare nei tempi giusti i lavori parlamentari, al fine di garantire un serio a valido confronto politico su entrambi i provvedimenti, e non utilizzi strumentalmente questa concomitanza per comprimere il dibattito.