La partita del secolo: 50 anni fa Italia Germania.

Se avessimo vinto anche la finale il ricordo di quella partita sarebbe stato diverso.

Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano

Il 17 giugno 1970 avevo solo quattro anni. Non ho quindi esperienza diretta della partita del secolo. Il mio è solo un “relato” come si dice in spagnolo, un racconto di seconda mano. Ma in famiglia quel racconto mi ha accompagnato per anni, amplificando l’enfasi e anche la retorica, finché non ho avuto modo di vederla (e rivederla) con i miei occhi in televisione quella partita. Epica, è questa la parola giusta, lo sappiamo.

Quei 120 minuti, con i giocatori arrivati allo stremo delle loro forze, tutti gli schemi saltati, i terzini diventati goleador, con Beckenbauer fasciato al braccio come un antico soldato che ancora combatte fino all’ultimo minuto, e Domenghini inesauribile su quella fascia destra… Da ragazzo appassionato di epica e di mitologia greca per me quei ventidue giocatori avevano il volto degli eroi delle antiche leggende.

La faccia di Riva era quella di un condottiero romano, il suo terzo goal è uno dei capolavori della storia del calcio, potenza e geometria in quel piede sinistro di Rombo di Tuono e poi l’eleganza di Facchetti e la grinta di Tarcisio Burgnich che, già nel nome, era l’emblema della difesa rocciosa, inespugnabile. E che soddisfazione quel suo secondo goal, sorprendente (che ci faceva lì davanti alla porta avversaria?) e conquistato con prepotenza. Un’Italia commovente per tenacia e creatività. Per una notte sovvertendo i pronostici e sconfiggendo i favoriti tedeschi quella squadra ha dato a tutti gli italiani la sensazione di essere invincibile.

Eppure qualche giorno dopo si è dovuta arrendere di fronte al Brasile, ma quel giorno in campo erano scesi gli dei del calcio e gli uomini, pur valorosi, contro gli dei non possono farcela. Anche l’eroico Burgnich, che generosamente ci ha provato, ha dovuto vedere una spanna sopra di lui, elevarsi e volare il divino Pelè che con un potente colpo di testa ha messo la palla scagliata da Rivelino oltre il tuffo di Albertosi. La nostra percezione di quella partita è segnata dal fatto che poi non siamo diventati campioni del mondo, che alla fine abbiamo perso.

Alla fine noi e i tedeschi abbiamo perso entrambi. Se avessimo vinto anche la finale il ricordo di quella partita sarebbe stato diverso. E qui ritorna l’epica, anzi, proprio Omero e Virgilio. Il grande poema della guerra di Troia è un poema greco ma celebra i nemici, inizia con Achille ma termina con i funerali di Ettore, canta la sconfitta non la vittoria. Si poteva chiamare Achillea, come l’Odissea e invece si chiama, non a caso Iliade. E tutti poi hanno voluto essere discendenti dei troiani, non degli achei, a partire proprio da quei romani, figli di Enea, che nella mia immaginazione di bambino avevano tutti il volto forte e virile di Gigi Riva, Rombo di Tuono.