Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Treccani a firma di Angela Biscaldi

L’antropologa Ruth Finnegan in un celebre testo dal titolo Communicating. The multiple modes of human interconnection (2002) ci spiega che la comunicazione umana faccia-faccia si caratterizza per la multimodalità, cioè per il fatto che gli uomini comunicano utilizzando sempre contemporaneamente diversi canali tra loro interdipendenti.

Il tono di voce, l’efficacia dello sguardo, le espressioni del viso, la postura del corpo, la gestualità di mani e braccia, l’uso regolato del tatto, l’evocatività dell’olfatto, il potere simbolico dell’abbigliamento sono tutti elementi dell’interconnessione umana. Si tratta di un processo difficilmente circoscrivibile e descrivibile, altamente polisemico, che chiama in causa una straordinaria quantità di elementi interdipendenti, nel quale i partecipanti sono attivi e creativi nel loro relazionarsi.

La pandemia di Covid-19 e il conseguente lockdown hanno comportato un’improvvisa restrizione delle molteplici modalità dell’interconnessione umana, riducendo il campo della nostra straordinaria, quotidiana, relazionalità sociale a ciò che può essere comunicato attraverso le due dimensioni di uno schermo. Ne risulta potenziata la vista a scapito di tutti gli altri elementi: un ipervisualismo persistente che ci affatica e, alla lunga, ci deprime, causando la sensazione di una perdita di energia.  Come mi ha confidato un docente di scuola secondaria durante un’intervista in profondità sulla didattica in remoto:

«grande fatica […] e la cosa particolare che abbiamo notato tutti: tu metti energie lì dentro ma le energie non tornano, mentre nel rapporto diretto le energie tornano, quando entri in una classe senti che le energie arrivano, tu dai e ti tornano indietro, sei stanco ma sei anche ritemprato dal punto di vista emotivo, lì invece è esaurimento puro, alienazione totale».

Inoltre, nella comunicazione digitale la vista e l’udito non lavorano più in sinergia ma producono una specie di continua dissonanza cognitiva dal momento che, on-line, esiste sempre una discrepanza  temporale, più o meno accentuata, tra ciò che vedo (il volto di chi mi parla) e quello che sento (le sue parole che mi arrivano un po’ dopo, talvolta a scatti, talvolta accelerate); il tatto, poi, rinchiusi nelle nostre case, si riduce al digitare su una tastiera, cliccare, scrollare, quando non ad un frenetico lavare e disinfettarsi per paura del contagio.

Ma c’è una relazione ancora più diretta tra il Covid-19 e i nostri sensi. La sintomatologia della malattia, infatti, si manifesta in diversi casi con ageusia, la perdita del gusto, e anosmia, la perdita dell’olfatto.

Se molto si è parlato dell’obbligo, imposto dalla necessità di bloccare la diffusione della malattia, di mantenere un distanziamento fisico, dell’impossibilità di toccarsi e della sofferenza sociale causata da questi divieti, meno attenzione è stata rivolta alla perdita di olfatto e gusto.

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