LA PIAZZA PACIFISTA NON È IL MANTELLO DELL’UNITÀ DEI PROGRESSITI.

 

Cosa accadrà in Parlamento quando Conte, sulla scia delle parole dordine usate nel corteo di Roma, giocherà secondo una facile previsione la carta del voto contrario sugli aiuti militari allUcraina? Pare di cogliere il presagio di un ulteriore smacco per il Nazareno.  

 

Cristian Coriolano

 

Il Partito democratico ha scelto di partecipare al corteo per la pace di Roma mantenendo ferma la sua linea politica sul conflitto in Ucraina. “Sono qui – ha detto Letta – perché la pace è la cosa più importante di tutte. Siamo qui per dire la nostra in silenzio, marciando come credo sia giusto fare in questo momento per la pace, per l’Ucraina, perché finisca questa guerra e perché finisca l’invasione della Russia. Perché la pace vuol dire la fine dell’invasione russa. Questo è il punto centrale”. Tale ribadita fermezza pro Nato e anti Russia sta alla base della protesta di alcuni partecipanti che hanno dato del “guerrafondaio” al segretario Dem. Naturalmente il coraggio di esporsi in una manifestazione attraversata da sentimenti pacifisti contrastanti, salvo per l’appello a una più forte iniziativa diplomatica, non può che rendere onore a Letta e al Partito democratico.

 

C’è da osservare, comunque, che la polemica sulla mancanza d’iniziativa diplomatica pecca di approssimazione. Non è vero che le cancellerie europee siano ferme, riottose ad esercitare un ruolo; al contrario, nei limiti imposti dalla dura realtà, cercano da mesi un varco da aprire in direzione del cessate il fuoco. Macron non nasconde la volontà di farsi protagonista delle ragioni di un negoziato di pace: non a caso è venuto a Roma per incontrare Papa Francesco. Anche Scholz punta a riaprire il gioco, altrimenti non avrebbe dato spazio alla ripresa di dialogo con la Cina. Il viaggio a Pechino, dopo il compromesso sull’ingresso di capitali cinesi nella società che gestisce il porto di Amburgo, non ha solo un carattere commerciale. In questo quadro l’Italia appare più lenta e indecisa, per ragioni che nella sostanza attengono ad una ridotta capacità d’intervento.

 

La via della diplomazia non è preclusa né viene negata, ma evidentemente in questa fase, caratterizzata dal rifiuto di Putin a tratteggiare lo scenario di una possibile trattativa, risulta a dir poco impervia. Certo, non si può chiedere a una piazza di mettere ordine ai problemi sottostanti all’attuale condizione di stallo; al contrario, si può e si deve chiedere ai partiti di ragionare sulle difficoltà, palesi o nascoste, che occludono il percorso che dovrebbe portare negli auspici generali al disinnesco del conflitto. Ora, la partecipazione del Partito democratico al corteo di Roma dà l’idea di una scelta generosa e nondimeno fragile, anzi persino contraddittoria a motivo della eccessiva vicinanza con il pacifismo “senza se e senza ma”, veicolato in primo luogo dal comportamento del M5S di Conte.

 

Infatti, cosa accadrà adesso in Parlamento quando Conte, sulla scia delle parole d’ordine usate nel corteo, giocherà secondo una facile previsione la carta del voto contrario sugli aiuti militari all’Ucraina? È chiaro che il Partito democratico non potrà sposare un cambio di rotta tanto avventuroso e nemmeno potrà, una volta registrata la divaricazione di linea politica, mettere a frutto il suo tentativo di riaggancio di un M5S riabilitato, con la piazza di San Giovanni a fare da mantello protettivo delle speranze di unità del nuovo fronte progressista. C’è dunque il pericolo che l’ultima mossa del Nazareno, figlia dello smarrimento post elettorale, aggrovigli più che mai i fili della vagheggiata rifondazione del partito dei riformisti.