Il Presidente del Consiglio, nel suo intervento qui riprodotto integralmente, ha messo l’accento su questo concetto fondamentale: “La pandemia ha riproposto –  sono le sue parole – la centralità della scienza per le nostre vite e per la nostra società”.

È stata per me una grande emozione visitare i laboratori sotterranei e osservare da vicino gli esperimenti che vi rendono un punto di riferimento per la comunità scientifica mondiale. Quest’anno ricorre il 35esimo anniversario dall’inizio delle attività dei Laboratori del Gran Sasso – prova della lungimiranza degli investimenti in centri di ricerca e infrastrutture scientifiche, come ricordava il professor Parisi. La loro realizzazione, su iniziativa dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ha permesso all’Italia di affermarsi nella fisica delle particelle elementari negli anni in cui emergeva questo campo. Da allora, il Gran Sasso ha contribuito – e continua a contribuire – a molte delle scoperte più rilevanti della nostra epoca nei campi della fisica subnucleare, nucleare e astroparticellare. 

È un luogo capace di attrarre menti brillanti dall’estero e di valorizzare i nostri talenti. Siete una delle grandi eccellenze del Paese. L’Italia è orgogliosa di voi. Sono particolarmente oggi felice di aver visitato i Laboratori con Giorgio Parisi, che ringrazio. In mezzo secolo di carriera, il Professor Parisi ha rappresentato le virtù della scienza: il genio della scoperta, la dedizione alla ricerca, la generosità verso gli allievi e verso la società. Il suo lavoro pionieristico ha aperto nuove vie nei campi della cromodinamica quantistica e dello studio dei sistemi disordinati complessi. Il Premio Nobel lo pone di diritto accanto ai grandi scienziati italiani, come Camillo Golgi, Guglielmo Marconi, Enrico Fermi, Emilio Segrè, Giulio Natta, Renato Dulbecco, Carlo Rubbia, e Rita Levi-Montalcini, di cui quest’anno ricorrono i dieci anni dalla scomparsa. Testimonia la vivacità e la ricchezza del nostro mondo scientifico – e della fisica in particolare – che dobbiamo valorizzare più, molto di più, di quanto sia avvenuto in passato. La mia visita di oggi è servita a capire meglio quale sia il contributo che il Governo e le istituzioni possono dare al mondo della ricerca.

Vogliamo sostenervi e agevolare il vostro lavoro, e ovviamente senza ingerenze, almeno nel mio caso. Creare le condizioni economiche e culturali perché possiamo e possiate progettare e crescere. Facilitare le collaborazioni internazionali, di cui questi Laboratori sono un esempio virtuoso. E promuovere la cultura del merito, con la consapevolezza che i risultati possono non essere immediati. Perché, come ci ricorda il Professor Parisi, “il lavoro migliore di una vita di ricerca può saltare fuori per caso” e le sue applicazioni “apparire in campi assolutamente imprevisti”.

La ricerca deve essere al centro della crescita dell’Italia. Con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza investiamo oltre 30 miliardi in istruzione e ricerca. Finanziamo fino a 30 progetti per infrastrutture innovative di rilevanza europea. 
Nei prossimi 4 anni, destiniamo 6,9 miliardi di euro alla ricerca di base e applicata. A dicembre abbiamo pubblicato bandi, che si sono chiusi questa settimana, grazie Ministra, per un totale di circa 4,5 miliardi di euro.Finanzieranno cinque Centri Nazionali, gli Ecosistemi dell’Innovazione territoriali e le Infrastrutture di Ricerca e di Innovazione. Il nostro obiettivo è favorire il progresso scientifico e coinvolgere le nostre migliori competenze.

L’impegno del Governo – e a questo proposito voglio di nuovo ringraziare la Ministra Messa per il suo lavoro – è partire dai giovani ricercatori. Da molti voi, insomma.
Il numero di nuovi dottori di ricerca in Italia è calato del 40% in circa 10 anni, tra il 2008 e il 2019, ed è oggi tra i più bassi nell’Unione Europea. Per invertire questa tendenza, raddoppiamo il numero delle borse di dottorato, dalle attuali 8-9 mila l’anno a 20mila, e ne aumentiamo gli importi. Finanziamo circa 2.000 nuovi progetti di giovani ricercatori sul modello dei bandi europei. E riformiamo i dottorati di ricerca per valorizzare il titolo anche al di fuori della carriera accademica, e formare competenze di alto profilo nelle principali aree tecnologiche.

Realizzare il pieno potenziale della ricerca vuol dire puntare su chi è stato spesso ai margini di questo mondo, come ricordava prima la professoressa Votàno, le donne. Per troppo tempo le posizioni di vertice nella ricerca scientifica sono state appannaggio degli uomini. Oggi sono molte di più le ricercatrici italiane che si affermano ai massimi livelli. 
Penso a Lucia Votàno – che è qui con noi – la prima donna a dirigere i Laboratori del Gran Sasso. E a Fabìola Gianotti, come è stato appena detto, direttrice del CERN e coordinatrice del progetto che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs. Un numero sempre maggiore di scienziate guida progetti che spingono in avanti le frontiere della ricerca. Questi Laboratori, dove otto su 14 responsabili di progetto sono donne, costituiscono un esempio per tutti.

Sono però ancora troppo poche le ragazze che scelgono studi scientifici. Tra le giovani immatricolate nelle università italiane, solo una su cinque sceglie le cosiddette materie “STEM” – scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – la metà circa degli uomini.

Si tratta di diseguaglianze che partono da lontano, addirittura dall’infanzia. Lo ha ricordato nel 2010 un’altra grande scienziata, Margherita Hack, parlando dell’importanza di aver avuto genitori che non le avevano trasmesso comportamenti legati a stereotipi di genere, come anche lei ha detto poco fa. Per promuovere la partecipazione femminile al mondo delle scienze e della tecnologia dobbiamo intervenire lungo tutto l’arco dell’istruzione, dalla scuola all’università. Investiamo oltre un miliardo di euro per potenziare l’insegnamento delle materie STEM, anche con l’obiettivo di superare gli stereotipi di genere.

Come previsto dalla Strategia nazionale per la parità di genere, puntiamo a portare la percentuale di studentesse in discipline STEM almeno al 35% degli iscritti. Di questo tema si è discusso nella scorsa settimana, in occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza. Questo dibattito deve portare al più presto a risultati concreti. La pandemia ha riproposto la centralità della scienza per le nostre vite e per la nostra società. È il silenzioso lavoro dello scienziato a fare la differenza tra la morte e la vita, tra la disperazione e la speranza. Vale per lo sviluppo di vaccini e di medicinali, come per la lotta al cambiamento climatico. Senza ricerca non può esserci innovazione, e senza innovazione non può esserci progresso. Ma la Scienza non è soltanto una somma di scoperte. È soprattutto metodo. 


Ci ricorda che alla base di ogni dibattito, anche il più acceso, devono esserci evidenze affidabili e verificabili. E che chiunque abbia posizioni di responsabilità o la capacità di influenzare il dibattito pubblico deve distinguere tra i fatti e ciò che è soltanto opinione. Oggi, ci confrontiamo con pulsioni antiscientifiche, che puntano alla delegittimazione dei singoli scienziati o delle loro istituzioni. Dobbiamo difenderli e dobbiamo coltivare la cultura scientifica, promuoverne il ruolo centrale nella società. La società scientifica è rigore, entusiasmo, visione – a servizio della collettività e delle generazioni future. Per troppi anni, l’Italia non ha saputo accompagnare i suoi scienziati con la convinzione che meritano. Molti di loro sono partiti – e non per scelta – ma per costrizione. Troppo pochi sono arrivati a portare qui le loro competenze, la loro passione.

Colmare questi ritardi richiede coraggio, determinazione, ma – come ha ricordato oggi il Professor Parisi – soprattutto necessita di continuità. Tocca a noi tutti prenderci cura della scienza, come la scienza si è presa cura di noi.