Sono in totale disaccordo con il vicesegretario del PD Orlando e con quanti come lui sostengono l’avocazione allo Stato della competenza in materia di sanità.
Se un dato critico emerge da questa drammatica vicenda del Coronavirus, è la fragilità che si è notata in ciò che già oggi, in materia di tutela della salute pubblica, compete allo Stato.
Compete allo Stato (e non alle Regioni) dotarsi di strutture e capacità operativa in previsione di emergenze nazionali e globali, come questa. Compreso, per dire, l’approvvigionamento tempestivo delle famose mascherine, magari attraverso un accordo a livello europeo.

Compete allo Stato (e non alle Regioni) fissare e garantire ovunque nel Paese i livelli essenziali delle prestazioni.

Compete sempre allo Stato garantire il finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale che poi viene ripartito tra le Regioni (con eccezione di quelle tra le Regioni Speciali che finanziano autonomamente la sanità con i propri Bilanci).

E compete infine allo Stato vigilare affinché in tutte le Regioni siano rispettati criteri di efficienza e di funzionalità nelle strutture sanitarie.

Se in qualche Regione la sanità non funziona (ben prima del Coronavirus) si adottino misure efficaci e puntuali. Gli strumenti giuridici ci sono.
Ciò che compete invece alle Regioni non si può certo dire che non stia generalmente funzionando.

Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Trentino-Alto Adige (per citare le aree più colpite) stanno gestendo con grande impegno e capacità le loro competenze in una situazione eccezionalmente difficile.

Certo, ci sono stati anche momenti di incertezza nelle decisioni politiche locali e in qualche realtà le cose hanno funzionato meglio che in altre. Ma forse questi problemi di tempestività e di coerenza decisionale non ci sono stati a livello di Governo centrale?
E allora, perché pensare di “avocare allo Stato” ciò che funziona, anziché far funzionare ciò che ha manifestato segni di fragilità e di impreparazione?

Le Regioni non sono “piccoli Stati”. Gestiscono le loro competenze dentro un “quadro” che dovrebbe comporsi di visioni, programmazioni e strumenti di cornice nazionale ed europea.
Se questo quadro mostra elementi di debolezza, la soluzione non può essere “accentare poteri e responsabilità a Roma”, ma dotarsi finalmente di uno Stato efficiente. Magari meno invasivo, barocco, costoso e pesante; più innovativo e veloce.

Vale per la Sanità e vale per tutti gli altri campi della vita civile, sociale ed economica.
Guai a noi se da questa crisi si tornasse indietro verso concezioni stataliste.

La “ripartenza” richiede che tutti (anche tutti i livelli istituzionali) mettano in discussione il proprio operato e le proprie consuetudini. Ma occorre rafforzare e non mortificare i principi di fondo di una Repubblica delle Autonomie che scommette sulla responsabilità diffusa e solidale, non sull’illusione di una scorciatoia centralista