Nei giorni scorsi i media hanno pubblicato alcune notizie riguardanti il mondo delle nuove tecnologie e della digitalizzazione che meritano di essere riprese e considerate con la dovuta attenzione.

Prima notizia. Il Ministero della Difesa con procedura d’urgenza ha sostituito i cellulari acquistati dal colosso cinese Huawei, applicando il parere del Copasir (il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) che ha ritenuto non infondate le preoccupazioni circa l’ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5G”. “A parere del Comitato, il Governo e gli organi competenti in materia dovrebbero considerare molto seriamente, anche sulla base di quanto prevede la recente disciplina dettata dal decreto-legge n. 105/2019, la possibilità di limitare i rischi per le nostre infrastrutture di rete, anche attraverso provvedimenti nei confronti di operatori i cui legami, più o meno indiretti, con gli organi di governo del loro Paese appaiono evidenti”.

Consegnare la rete di ultima generazione a questi attori potrebbe compromettere “informazioni e dati sensibili riconducibili a cittadini, enti e aziende italiani”. In altri termini il timore è che l’utilizzo di hardware e software prodotti dal marchio citato – legato secondo gli USA al Partito comunista cinese – possa minare la sicurezza nazionale e la riservatezza dei dati. La delicatezza della questione è di tutta evidenza e la decisione del Ministero della Difesa di sostituire l’intera dotazione di cellulari con analoghi prodotti di altro marchio sollecita approfondimenti a tutela dello Stato e dei cittadini. Considerando altresì che il punto 29 del Memorandum Italia-Cina sottoscritto nel marzo scorso (e contestato duramente dai Paesi UE e dalla Nato) considera le aree portuali di Genova e Trieste come prossimi terminali europei dei traffici commerciali della cd. “via della seta”. Ciò mentre gli USA (e alla uscita dall’U.E, il Regno Unito) vanno nella direzione opposta con una severa politica dei dazi che limiti le importazioni di prodotti materiali, tecnologici o digitali dalla Cina.

Seconda notizia. Un attacco phishing al portale NOI.PA ha consentito ad alcuni malintenzionati di accedere ai dati di alcuni dipendenti della P.A. modificando le loro credenziali per impadronirsi di stipendi o pensioni e tredicesime. Pare che il fatto riguardi solo un numero limitato di persone ma colpisce la facilità di accesso ai dati privati con l’artifizio della sostituzione del codice IBAN del conto corrente e del telefono di sicurezza, fatto che costituisce – da qualsivoglia visuale lo si osservi- un pericoloso precedente che rende vulnerabili le vie d’accesso al sistema e i dati personali degli utenti che se ne avvalgono.

Dopo i bancomat clonati, gli attacchi hacker a governi, apparati militari, banche , istituzioni, le infiltrazioni nei sistemi WI-FI di locali pubblici, stazioni e aeroporti, i cellulari intercettati attraverso sistemi che consentono alla malavita organizzata di entrare materialmente all’interno del terminale e di carpire o modificare, alterare, duplicare, sostituire e utilizzare in modo fraudolento rubriche, messaggi, memorie dell’ignaro proprietario, le truffe telefoniche dei contratti che “scattano” alla semplice risposta, il prosciugamento dei crediti delle schede, i falsi esattori, gli addetti improbabili di inesistenti compagnie fornitrici di utenze, questo episodio, pur se circoscritto, costituisce un pessimo biglietto da visita per chi propugna la digitalizzazione totale dei servizi e dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Mentre proliferano PIN e codici alfanumerici sempre più complicati per l’utente comune, esponenzialmente cresce e si ramifica la rete delle organizzazioni criminali dedite alla truffa e all’imbroglio.

Pensando alle persone anziane si può solo immaginare come possano essere facili prede per menti raffinate che creano marchingegni che interagiscono con tutte le reti digitali, enfatizzate invece dai loro fautori come sicure e protette. Trasformare il reale in virtuale è un compito che la politica ha assunto come missione, la presunta facilitazione e semplificazione amministrativa è un’arma a doppio taglio per la sicumera con cui viene gestita. Senza contare che le reti telematiche degli stessi uffici erogatori di pubblici servizi vanno in tilt con crescente frequenza e sono essi stessi vulnerabili nella custodia dei dati personali degli utenti.

Terza notizia. Un ragazzo chiede alla fidanzatina una sua foto intima: lei gliela invia con modalità riservata ma lui la socializza mettendola in rete, rendendola di dominio pubblico. Da un’altra notizia emerge come un minore fosse stato da tempo abusato da un uomo senza scrupoli che lo aveva agganciato in rete. Da tempo ci si preoccupa in famiglia e a scuola della disinvoltura con cui gli adolescenti usano smartphone e tablet, ne facciano un uso distorto e quanto pericoloso possa essere avventurarsi nell’universo sconosciuto del web attraverso i molteplici canali che la rete dei provider mette a disposizione.
Il virtuale sta sostituendo il reale: nella conoscenza, nelle relazioni, nei servizi. Nella stessa identità.

La somma delle notizie che riguardano il mondo digitale crea una nebulosa imperscrutabile senza punti di riferimento tangibili e approdi al naufragio delle emozioni e della mente nella ‘rete’.
Purtroppo la tecnologia digitale non è più neutra: le serve il supporto ancillare dell’etica e del pensiero critico, indispensabili per riscostruire una tassonomia di valori che si sta perdendo, nella dissoluzione impalpabile e indescrivibile del vero e del giusto.
Da parte dello Stato, della famiglia e della scuola, per dirla con un’espressione efficace usata dal Prof. Vittorino Andreoli, è fondamentale veicolare questo messaggio: che nei comportamenti individuali e sociali ciascuno pensi e agisca avvalendosi del cervello che ha in testa anziché di quello artificiale che ha in tasca.