L’autore sostiene una tesi controcorrente, meritevole comunque di attenzione. A suo giudizio, la relazione bilaterale con il Regno Unito, se per loro è strategica, per noi è fondamentale e addirittura fondativa del nostro essere, ed esserci mantenuti in 160 anni, come stato unitario.

 

Il Regno Unito sta intessendo accordi bilaterali a tutto spiano, soprattutto dopo il recente cambio di guardia al Foreign Office dove, significativamente, è approdata la ministra che stava al Commercio Internazionale, Liz Truss.

Tale linea si pone all’interno di un disegno più ampio che vede riaffermare l’autonomia, l’autodeterminazione e la leadership globale del mondo anglosassone sopra l’asse continentale euroasiatico. Un disegno dal quale è nata l’AUKUS, l’intesa trilaterale tra Australia, Regno Unito, Stati Uniti sulla sicurezza e che ha comportato l’estromissione della Francia dai progetti di costruzione di sottomarini nucleari. L’AUKUS appare non solo un’iniziativa in qualche modo speculare all’ampliamento dell’altra grande intesa di difesa globale, la SCO (Shanghai Cooperation Organization) ma quasi in concorrenza ad una Nato, logorata dall’esser stata troppo a lungo soggetta al Deep State americano e ultimamente ammaliata da velleità provenienti dal centro del Vecchio Continente.

In questo quadro s’innesta l’accelerazione, o addirittura la svolta, impressa dalla nuova ministra degli esteri britannica Truss alla strategia post Brexit della Global Britain. La quale prevede l’individuazione in tutto il mondo di alleati più stretti con cui rafforzare le relazioni. Per l’Europa questa strategia d’oltremanica ha individuato, secondo quanto riferito domenica scorsa dal “Financial Times”, quattro interlocutori privilegiati con cui intensificare le relazioni bilaterali: la Spagna, i Paesi baltici, i Paesi del centro-est (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria) e l’Italia.

Un’opportunità enorme per il nostro Paese, da cogliere al volo. Questo nuovo accordo bilaterale con il Regno Unito (che sembrerebbe ormai non lontano dall’essere siglato) non riguarda solo la sicurezza, ma anche il commercio, le tecnologie e l’energia. Quest’ultimo aspetto appare decisivo nell’imprimere una svolta alla transizione ecologica. O si accetta una via fatta di decrescita e restrizioni climatiche, con pesantissime ripercussioni sulla classe media, che porteranno del resto a inevitabili forme di controllo sociale di tipo cinese (che forse si stanno già testando con motivazioni sanitarie attraverso l’estensione dell’obbligo del greenpass), oppure insieme alla Gran Bretagna è possibile indicare una strada diversa che riconosca la guida americana, anziché quella di sino-tedesca, nel passaggio cruciale e auspicabilmente incruento, dalle fonti fossili a alternative affidabili, stabili, pulite ed economiche, come la fusione nucleare, in cui mettere in gioco l’eccellenza della ricerca e della tecnologia italiana.

Per queste ragioni ritengo sia da considerarsi non propriamente conforme agli interessi del Paese la partecipazione dell’Italia alla delegazione di Paesi membri dell’Ue che, secondo quanto riferito di recente dal “Financial Times”, non ha escluso le ipotesi meno auspicabili nello sviluppo delle trattative fra Londra e Bruxelles sulla Brexit. La relazione bilaterale con il Regno Unito, se per loro è strategica, per noi è fondamentale e addirittura fondativa del nostro essere, ed esserci mantenuti in 160 anni, come stato unitario. Il primo e naturale (per interessi geopolitici in buona misura simili e compatibili) interlocutore europeo dell’Italia non può che essere ancora il Regno Unito, insieme al quale condividiamo una relazione speciale con il più grande alleato di entrambi i Paesi, gli Stati Uniti. Relazioni che rafforzano quello che è il nostro ruolo per rendere più coesa e forte l’Europa.