L’ANIMA DEI POPOLARI TORNA A RESPIRARE CON IL CORPO DELLA NAZIONE. L’IDENTITÀ NON È PIÙ UNA ZAVORRA.

I popolari non possono rinunciare alla loro connotazione ideale e politica. E non possono obnubilarsi in una sorta di “riformismo multiverso”, con messaggi contraddittori. Quando si fanno sinistra, andando ben oltre la loro tradizione, nemmeno aiutano la sinistra. In questa cornice, la Destra non può che consolidarsi per mancanza di un’alternativa credibile.

 

Il segnale è venuto dalla base. Qualcosa si è mosso, senza premesse e primazie, spontaneamente. Il silenzio dei popolari, consacrato alla difesa del riformismo, è stato infranto. È venuto allo scoperto, in sostanza, il bisogno di ritrovarsi attorno a una bandiera o meglio a una proposta politica. Che fare, dopo l’avvento della Destra al governo, per non rimanere schiacciati tra sovranismo e populismo? L’anima dei popolari, come nel passato, torna a respirare con il corpo della nazione. Si chiude una fase impastata di sacrificio, fino a rinunce pesanti pur di servire un progetto di rinnovamento. Subentra perciò la consapevolezza che il popolarismo alla fine può scomparire – Gramsci ne aveva preconizzato il suicidio – se ricomposto incongruamente nella dialettica della sinistra (invece di essere in dialettica con la sinistra).

La base è più avanti del vertice, anche se non esiste oggi, in mancanza di un partito nel pieno della sua funzione, un vero e proprio vertice politico. Esiste un partito, il Ppi, che da 20 anni non si presenta alle elezioni, sebbene giuridicamente conservi la titolarità della rappresentanza dei popolari. Ora si sente la sua mancanza. Epperò, in nome della continuità delle scelte compiute sulla scia dell’autosospensione del 2002, la “voglia di esserci” dei popolari è conservata e rilanciata nel circuito della rifondazione del Pd. È questo che vuole la base? In verità, con il passare degli anni, il logoramento del “partito unico del riformismo” si è accentuato: man mano che il sodalizio ha visto scemare le ragioni ideali, si è anche imposta la selezione di un personale politico perlopiù indifferente alle sensibilità del cattolicesimo democratico.

In ogni caso, non serve indugiare nelle recriminazioni. È bene piuttosto riflettere sull’usura di un modello di partito a base plurale, con un mix d’identità. Un modello dato per vincente e adesso in crisi. Non a caso gli esempi maggiori di aggregati politici post-identitari, da un lato Forza Italia e dall’altro il Pd, hanno incrociato un declino vistoso rispetto agli esordi. All’inverso, l’identarismo di Fratelli d’Italia si è rivelato un fattore di crescita impressionante dei consensi elettorali. Anche il M5S ha reagito al tracollo usando la leva della identità di movimento intransigente, con un suo nucleo di specificità a prova di contaminazioni (di qui il rifiuto, come in origine, della logica di alleanza). Può emergere invece che il riformismo volutamente eclettico e nondimeno radicale, secondo un astratto richiamo ai diritti individuali e alla loro estensione finanche pretestuosa, sia stato punito dall’elettorato a cagione di una farragine di messaggi e programmi. Invece la guerra, gli squilibri sociali, la paura del domani pesano sul sentimento politico di ampi strati di società civile, in particolare di ceto medio, esaltando una domanda di sicurezza. L’identità non è più una zavorra.

Ebbene, il riformismo senza i popolari non ha presa sociale, ma nel medesimo tempo, per essere all’altezza di un’impresa di autentico rinnovamento, proprio ora che nel ricco Occidente è in gioco la qualità stessa della democrazia, i popolari non possono rinunciare alla loro connotazione ideale e politica. Non possono obnubilarsi in una sorta di “riformismo multiverso”, se ciò significa retrocedere a copertura di uno smarrimento epocale della sinistra dopo la fine della “immane tragedia” – così la definì il card. Casaroli – del comunismo sovietico. Se i popolari si fanno sinistra, andando ben oltre la loro tradizione, nemmeno aiutano la sinistra: si perdono e insieme rendono perdente la formula che li coinvolge come forze ausiliari, anche a prescindere dalle buone intenzioni dei singoli. In questo scenario, infrenata l’azione dei popolari, la Destra può solo consolidarsi nel Paese e nelle istituzioni per mancanza di un’alternativa credibile.