Sulle primarie, a Roma, si gioca una partita cruciale. Da giorni Calenda scalda i muscoli a bordo campo, senza atteggiarsi a giocatore capriccioso che brandisce inopinatamente il rifiuto di alcune regole del gioco. Non vuole apparire, come ha confessato a Francesco Merlo su Repubblica, né instabile e né buonista. Di rimando l’offensiva diplomatica di Zingaretti continua a girare attorno all’accoglimento di un metodo d’investitura, quello appunto delle consultazioni nei gazebo, che preclude lo spazio alle forzature più o meno mediatiche  Piccoli segnali di apertura sembrano avvicinare le rispettive posizioni. Gli ottimisti ritengono infatti che Calenda sia pronto a mitigare il rifiuto finora opposto, dato che considera (o considerava) le primarie alla stregua di un diversivo, se non di una trappola.

In questo quadro s’inserisce il rilancio di Monica Cirinnà (“Caro Calenda, se vuoi Roma sfidiamoci alle primarie”) che trova oggi ospitalità sulle colonne del “Domani” di De Benedetti. È una sfida al ‘neoliberismo’, generatore di ineguaglianze e distorsioni sociali, economiche e culturali; una sfida che mette in risalto lo sforzo di una sinistra libera e creativa, specie sul versante dell’ecologia, nel farsi alternativa al modello delle privatizzazioni, dell’efficienza a colpi di tagli ai servizi, e quindi della modernità incomprensiva dei bisogni popolari. “Chiamiamo le cittadine e i cittadini – dice la Senatrice che ha legato il suo nome alla riforma del diritto di famiglia mediante la regolarizzazione delle Unioni civili -, le associazioni, il mondo del volontariato, le organizzazioni sindacali e professionali, la presenza sociale della chiesa nelle parrocchie e sui territori a decidere tra due punti di vista oggettivamente diversi”. Ora se questa è la sinistra, con il suo sprint riformatore antiliberista, va da sé che l’immagine del contendente principale, anzi del più accreditato vincitore delle ipotetiche consultazioni, finisca per essere fatalmente schiacciata a destra: le si applica, in sostanza, la maschera di un aggiornato conservatorismo modernizzatore sulla falsariga di quello adottato negli anni’80 del secolo scorso dalla Thatcher o da Reagan.

Allora, ciò che sopra abbiamo definito ‘rilancio’ nasce e si propone nel segno di una certa spontaneità e autonomia individuale, secondo il tratto distintivo dell’operato politico della Cirinnà, oppure si configura nei termini di una  resistenza, persino involontaria, del gruppo dirigente zingarettiano? Ovviamente non è facile rispondere a un quesito che sconta la sfrontatezza e la vacuità di tanta politica odierna. In ogni caso, il macigno dell’incertezza pesa per intero sulle spalle di Calenda. È intuibile la sua difficoltà. Da un lato, sottrarsi al confronto non può; dall’altro, nemmeno può assecondare l’identitarismo della sinistra, con quel che segue sotto l’aspetto della cosiddetta vocazione all’egemonia. Certamente a lui non conviene apparire troppo invischiato nelle vicende interne al Pd. Al contrario, più dimostra di essere se stesso, senza complessi d’inferiorità o premure reverenziali verso sinistra, più rafforza il suo profilo di leader. Ormai Calenda è il vero candidato a Sindaco di Roma, talché l’indugio o il rinvio non corrispondono al criterio di una efficace, seppur  equilibrata azione politica. 

La nave deve salpare.