L’Azione cattolica di Pio XI: il focus della rivista Segno.

Sul primo numero dellanno, la rivista Segno” mette a fuoco la riforma, voluta nel 1923 da Pio XI, dello statuto dellAzione cattolica. Gli studiosi sono concordi nel ritenere che si trattò di una riforma che aprì le porte alla moderna” Azione cattolica. 

Paolo Trionfini 

Ricorre quest’anno il centenario di un’importante riforma che interessò l’Azione cattolica italiana nel 1923. Praticamente appena eletto papa nel febbraio del 1922, Achille Ratti, il quale assunse il nome di Pio XI, pensò diriformare l’associazione, dopo che il precedente riassetto di Benedetto XV, approvato nel 1915 ed entrato in vigore l’anno successivo, non si era rivelato del tutto funzionale, anche se aveva permesso una maggiore unitarietà, con l’accentuazione del suo carattere religioso attorno all’Unione popolare.

Il contesto associativo dopo la Grande Guerra. 

La Grande Guerra probabilmente incise sull’applicazione puntuale della riforma, anche perché la Giunta centrale, per quanto totalmente obbediente alle posizioni della Santa Sede, assunse posizioni non perfettamente collimanti con il magistero pacifista di Benedetto XV. Dopo il conflitto, il mondo cattolico si definì attraverso nuovi ambiti di azione, con il varo della Confederazione italiana dei lavoratori, un moderno sindacato che, superando le diffidenze precedenti nei confronti del conflitto sociale, raggruppava tutte le federazioni di categoria esistenti in un’unica centrale, la quale si articolava sul territorio a livello provinciale, e con la nascita del Partito popolare italiano di don Luigi Sturzo, che finiva per superare il non expedit, che aveva escluso la partecipazione attiva alla vita politica. 

Sulla base di questa spinta, poi, di cui tenne conto nel pesare pregi e difetti, Pio XI, per l’appunto, incaricò il segretario di Stato, il cardinal Pietro Gasparri, di redigere la bozza dei nuovi Statuti dell’Azione cattolica italiana, che fu mandata ai vescovi per un parere, con l’esigenza di rimettere ordine, per distinguere più chiaramente i motivi specificamente religiosi dagli impegni di carattere economico, sociale e politico. L’ampio sondaggio, sperimentato per la prima volta, divenne un punto fermo anche per le successive riforme statutarie di Pio XII, e poi fu ampliato alle presidenze diocesane dell’associazione nella gestazione della nuova carta del 1969, che recepì lo spirito del Vaticano II. Ad ogni modo, la risposta dell’episcopato italiano tra il 1922 e il 1923 risultò sostanzialmente positiva. La dipendenza dell’Azione cattolica dall’autorità ecclesiastica – anticipata da una circolare del card. Gasparri – fu ribadita dagli ordinari, che ne apprezzavano, come conseguenza della natura religiosa dell’Ac, l’incorporazione all’istituzione, con la relativa subordinazione ai suoi legittimi pastori, che in passato avevano lamentato le tendenze, per così dire, centrifughe.

Un debito di gratitudine per lo statuto di cento anni fa

Dopo l’accoglienza dei suggerimenti fatti arrivare, il nuovo assetto dell’associazione era pronto per entrare in vigore. Lo Statuto, infatti, riconosceva quattro associazioni: la Federazione italiana uomini cattolici (Fiuc), appena istituita; la Società della gioventù cattolica ita-liana, che nel 1931, dopo lo scontro con il re- gime fascista, avrebbe assunto la denominazione di Gioventù italiana di Azione cattolica; la Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci); l’Unione femminile cattolica italiana, a sua volta suddivisa – per le diffidenze nei confronti delle più giovani – nelle tre realtà dell’Unione fra le donne cattoliche d’Italia, la Gioventù femminile cattolica italiana, fondata nel 1918 da Armida Barelli, e le Universitarie cattoliche italiane, che erano pertanto separate dalla componente maschile. Di fatto, seppur con la complicazione della ripartizione dell’associazionismo femminile, l’Azione cattolica italiana si articolava in quattro rami per età e sesso. La peculiare organizzazione del movimento che riguardava l’“altra metà del cielo”, alla prova dei fatti, si rivelò farraginosa, inducendo a scorporare la componente studentesca e a distinguere chiaramente tra il ramo adulto e quello giovanile. Conseguentemente l’impalcatura centrale veniva replicata a livello diocesano, mantenendo il legame preesistente con le Chiese locali sotto la responsabilità dei vescovi, per quanto anche in questo passaggio veniva confermato il principio democratico dell’elezione dei dirigenti, che non veniva, invece, applicato a livello nazionale. Il criterio poi fu sospeso dopo lo scontro con il fascismo del 1931, che venne ricucito con nuovi accordi, i quali, tra le altre modifiche, rendevano di nomina episcopale i dirigenti diocesani.

Si deve anche sottolineare che la riforma strutturale si appoggiava all’ecclesiologia vigente, arricchita da papa Ratti con la teologia del «mandato» nell’apostolato dei laici. Al riguardo, Pio XI, che elaborò un fitto magistero su questo punto, variando i termini da «partecipazione» a «collaborazione», ma senza modificare l’intenzionalità di fondo, promosse, come «pupilla dei miei occhi», il modello dell’Azione cattolica italiana, per renderlo universale, che quindi divenne il calco delle associazioni nazionali di tutto il mondo. Forse questo non è l’ultimo dei meriti della riforma del 1923 ma è sicuramente un riferimento imprescindibile per l’intero laicato associato, che ne beneficiò – la stessa Apostolicam actuositatem fu approvata tenendo conto di questo retroterra – fino al Concilio Vaticano II. Anche per questo motivo, insomma, bisognerebbe conservare una memoria grata alla Carta “costituzionale” di cento anni fa dell’associazione, che aprì la strada alla “moderna” Azione cattolica, come è stato riconosciuto da molti studiosi.

Fonte: Segno 1/23 (gennaio-febbraio-marzo)