La costruzione delle alleanze politiche ed elettorali nel nostro paese sono sempre stati un’operazione complessa ed articolata. Frutto di un sistema proporzionale che esaltava, giustamente, le varie identità culturali e territoriali. Ma frutto anche, e soprattutto, di una deriva trasformistica che ha contaminato nel corso degli anni molte formazioni politiche. Certo, il trasformismo è un tarlo che accompagna e caratterizza, da sempre, le dinamiche della politica italiana. Ma, comunque sia, la formazione delle coalizioni elettorali – a livello nazionale ma soprattutto a livello locale – sono sempre state il frutto concreto di una fantasia senza limiti. Dove l’obiettivo, del tutto comprensibile e persin scontato, resta sempre quello di conquistare il maggior numero di voti con la coalizione più ampia possibile. Un obiettivo certamente nobile purchè non diventi un gioco che mette a forte rischio la stessa credibilità della politica. Perchè un conto è dar vita ad alleanze e coalizioni elettorali dove la politica continua ad avere un senso attraverso un programma comune e una affinità politica e culturale dei vari contraenti. Almeno spiegabile alla pubblica opinione. Altra cosa è trasformare la coalizione in una sorta di pallottoliere dove gli unici elementi che si riscontrano sono quelli di salire frettolosamente sul carro del vincitore da un lato e quello di cambiare altrettanto rapidamente giudizio su quella coalizione e quei candidati dall’altro. Per cui ci troviamo, come ci riportano quotidianamente vari resoconti giornalistici, coalizioni formate da una sventagliata di liste e con candidati che sino a poche settimana prima si scagliavano l’un contro l’altro senza pietà, come si suol dire.

Ora, senza scivolare nel moralismo e nella mera denuncia, credo che non ci si possa non porre il tema della credibilità della politica, della sua classe dirigente e dello stesso programma di governo e territoriale di fronte ad uno spettacolo così poco edificante. Cosa significa, nello specifico, costruire una alleanza con oltre 20 liste fatte anche da candidati che sino a poco tempo prima teorizzavano la necessità di creare una secca alternativa politica rispetto a quegli stessi candidati con cui adesso si alleano? Come è possibile ridare credibilità, autorevolezza, nobiltà e prestigio alla stessa politica e alla sua classe dirigente quando il trasformismo più bieco, e anche più plateale, è così smaccato e persin plateale? E, infine, come si pensa anche di governare bene un territorio quando gli interessi, le varie sensibilità – chiamiamole così per spirito di fraternità e amicizia …- e le stesse modalità del far politica sono così diverse all’interno della stessa coalizione? Sono, credo, domande legittime che meritano una risposta altrettanto dovuta. Anche perchè continuare a blaterare di rinnovamento della politica, di cambiamento della politica, di discontinuità della politica e della stessa classe dirigente e poi assistere a spettacoli così decadenti, fa crescere la voglia di tornare a quella vecchia politica da cui si vuole continuare a prendere le distanze. E questo per un semplice e persin banale motivo. E cioè, il trasformismo non può diventare la regola nella dialettica politica italiana perchè, prima o poi, sarebbe la stessa credibilità della politica a pagarne le conseguenze in forma più o meno diretta.

Ecco perchè l

La costruzione delle alleanze politiche ed elettorali nel nostro paese sono sempre stati un’operazione complessa ed articolata. Frutto di un sistema proporzionale che esaltava, giustamente, le varie identità culturali e territoriali. Ma frutto anche, e soprattutto, di una deriva trasformistica che ha contaminato nel corso degli anni molte formazioni politiche. Certo, il trasformismo è un tarlo che accompagna e caratterizza, da sempre, le dinamiche della politica italiana. Ma, comunque sia, la formazione delle coalizioni elettorali – a livello nazionale ma soprattutto a livello locale – sono sempre state il frutto concreto di una fantasia senza limiti. Dove l’obiettivo, del tutto comprensibile e persin scontato, resta sempre quello di conquistare il maggior numero di voti con la coalizione più ampia possibile. Un obiettivo certamente nobile purchè non diventi un gioco che mette a forte rischio la stessa credibilità della politica. Perchè un conto è dar vita ad alleanze e coalizioni elettorali dove la politica continua ad avere un senso attraverso un programma comune e una affinità politica e culturale dei vari contraenti. Almeno spiegabile alla pubblica opinione. Altra cosa è trasformare la coalizione in una sorta di pallottoliere dove gli unici elementi che si riscontrano sono quelli di salire frettolosamente sul carro del vincitore da un lato e quello di cambiare altrettanto rapidamente giudizio su quella coalizione e quei candidati dall’altro. Per cui ci troviamo, come ci riportano quotidianamente vari resoconti giornalistici, coalizioni formate da una sventagliata di liste e con candidati che sino a poche settimana prima si scagliavano l’un contro l’altro senza pietà, come si suol dire. 

Ora, senza scivolare nel moralismo e nella mera denuncia, credo che non ci si possa non porre il tema della credibilità della politica, della sua classe dirigente e dello stesso programma di governo e territoriale di fronte ad uno spettacolo così poco edificante. Cosa significa, nello specifico, costruire una alleanza con oltre 20 liste fatte anche da candidati che sino a poco tempo prima teorizzavano la necessità di creare una secca alternativa politica rispetto a quegli stessi candidati con cui adesso si alleano? Come è possibile ridare credibilità, autorevolezza, nobiltà e prestigio alla stessa politica e alla sua classe dirigente quando il trasformismo più bieco, e anche più plateale, è così smaccato e persin plateale? E, infine, come si pensa anche di governare bene un territorio quando gli interessi, le varie sensibilità – chiamiamole così per spirito di fraternità e amicizia …- e le stesse modalità del far politica sono così diverse all’interno della stessa coalizione? Sono, credo, domande legittime che meritano una risposta altrettanto dovuta. Anche perchè continuare a blaterare di rinnovamento della politica, di cambiamento della politica, di discontinuità della politica e della stessa classe dirigente e poi assistere a spettacoli così decadenti, fa crescere la voglia di tornare a quella vecchia politica da cui si vuole continuare a prendere le distanze. E questo per un semplice e persin banale motivo. E cioè, il trasformismo non può diventare la regola nella dialettica politica italiana perchè, prima o poi, sarebbe la stessa credibilità della politica a pagarne le conseguenze in forma più o meno diretta. 

Ecco perchè la prossima consultazione elettorale nelle varie regioni assume una importanza decisiva non solo per misurare la vittoria del centro destra o del centro sinistra ma anche e soprattutto per la qualità della politica e per la stessa credibilità dei vari programmi amministrativi. E dalla formazione delle coalizioni e delle alleanze elettorali arriva anche un preciso segnale su come, concretamente, si pensa di ridare credibilità alla politica e alle stesse istituzioni democratiche. La logica del pallottoliere e la scorciatoia del trasformismo non possono mai, al di là delle singole convenienze e delle più svariate specificità locali, rappresentare l’orizzonte entro il quale si rilancia la politica e la sua trasparenza. La “cultura del progetto e la cultura del comportamento”, quindi, come ci ricordava molti anni fa un grande storico del movimento cattolico italiano Pietro Scoppola, non possono mai essere distinti o disgiunti per un buon politico. Soprattutto in una fase storica come quella che stiamo attualmente vivendo. E questo non solo per il bene della politica ma per la stressa qualità della nostra democrazia.

non solo per misurare la vittoria del centro destra o del centro sinistra ma anche e soprattutto per la qualità della politica e per la stessa credibilità dei vari programmi amministrativi. E dalla formazione delle coalizioni e delle alleanze elettorali arriva anche un preciso segnale su come, concretamente, si pensa di ridare credibilità alla politica e alle stesse istituzioni democratiche. La logica del pallottoliere e la scorciatoia del trasformismo non possono mai, al di là delle singole convenienze e delle più svariate specificità locali, rappresentare l’orizzonte entro il quale si rilancia la politica e la sua trasparenza. La “cultura del progetto e la cultura del comportamento”, quindi, come ci ricordava molti anni fa un grande storico del movimento cattolico italiano Pietro Scoppola, non possono mai essere distinti o disgiunti per un buon politico. Soprattutto in una fase storica come quella che stiamo attualmente vivendo. E questo non solo per il bene della politica ma per la stessa qualità della nostra democrazia.