Il Censis nel quarto rapporto Agi-Censis dedicato al turismo di fronte alla pandemia rivela che: “Nei primi 11 mesi del 2020 sono state circa 219 milioni le presenze in meno negli esercizi ricettivi rispetto al 2019: -52,2%, nonostante la parziale ripresa registrata nella scorsa estate”.

Per la componente straniera la contrazione è stata ancora più marcata: -68,9% tra gennaio e ottobre 2020. Lo scorso anno i passeggeri in transito nel sistema aeroportuale nazionale sono diminuiti complessivamente del 72,6%: -61,3% per i voli nazionali, -78,4% per gli internazionali.

Per quanto riguarda l’impatto sulla dimensione occupazionale, gli addetti del settore turistico inteso in senso ampio sono 1.647.000 (il 7,1% del totale). Si tratta di lavoratori che sono impiegati con contratti a termine o stagionali in percentuali superiori alla media, dunque meno protetti dal blocco dei licenziamenti. Nel comparto alloggio e ristorazione si stima una perdita del 12,2% delle ore lavorate nel primo trimestre 2020, del 77,8% nel secondo trimestre e del 30,3% nel terzo.

Per superare tutto ciò il censis vede la necessità di ripensare il turismo. Serve, secondo l’istituto, un piano nazionale di ripresa e resilienza che permetta di superare storiche criticità. I punti principali riguardano la qualità dell’offerta extralberghiera, la spiccata stagionalità, la prevalenza del turismo balneare e delle città d’arte, l’eccessiva prevalenza del segmento tedesco (il 47% dei turisti stranieri proviene dalla Germania), la ridotta durata media dei soggiorni, la polarizzazione sulle località più rinomate (il 58% dei flussi riguardano 5 sole regioni).

A tutto ciò si aggiungono i problemi della logistica, del sistema portuale e aeroportuale e dei collegamenti ferroviari. Fattori che contribuiscono a porre l’Italia al settimo posto nell’indicatore mondiale di competitività turistica.