La nuova America di Biden comincia a muoversi ed è bene che l’Europa inizi ad affrontare la nuova fase con cognizione di causa, considerando cioè con la necessaria rapidità le opportunità – ma anche gli obblighi – ad essa connessi.

“America is back” è diverso da “America first”. Almeno quanto Biden è diverso da Trump. Sarebbe però un errore imperdonabile immaginare che dietro quel “back” non ci sia anche un “first”. Perché il messaggio che il nuovo Presidente USA ha inviato ai partner occidentali è chiaro: gli Stati Uniti rilanciano il loro approccio multilaterale ma con esso la loro leadership mondiale, e dunque non intendono cedere ulteriore spazio al loro principale competitor, la Cina, né a stati autocratici, l’esempio è la Russia, che attraverso l’utilizzo improprio della tecnologia mirano a indebolire le democrazie occidentali. Chi aveva previsto che i Democratici non avrebbero fatto sconti in argomento, magari solo per marcare un visibile distacco dalla politica estera di Donald Trump, non si sbagliava.

Il ragionamento di Biden è semplice, abbastanza schematico come è tipico degli americani e quindi non si presta a troppe interpretazioni più o meno capziose. Innanzitutto c’è un dato valoriale: i sistemi democratici occidentali sono quelli che meglio di altri tutelano le libertà individuali e collettive; sono sotto attacco da parte di autocrazie che non si fanno scrupoli di utilizzare l’hackeraggio informatico per minarli alla base, nel loro rapporto con i propri cittadini, e quindi vanno difesi attivamente; le democrazie vanno infatti protette, rafforzate e rinnovate, ogni giorno (un concetto espresso con nettezza anche da Obama nella sua simpatica intervista a Fabio Fazio).

In secondo luogo c’è l’indicazione precisa dei principali pericoli, con due preminenti accusati: il regime dittatoriale cinese, che sarà un “duro rivale di medio termine” e quello autocratico russo, il cui evidente obiettivo è “indebolire il progetto europeo e la NATO”.

La conseguenza diretta è, in primo luogo rivolta agli europei, da un lato – come detto – il rilancio dell’iniziativa multilaterale da parte di Washington e dall’altro l’auspicata rinnovata solidarietà atlantica che comporterà, senza dubbio alcuno, il rilancio della NATO (che solo un anno fa il presidente francese Macron aveva definito come sostanzialmente moribonda).

Biden riconosce però, e agli europei lo dice a chiare lettere, che gli anni recenti sono stati non molto buoni nelle relazioni fra le due sponde dell’Atlantico: il riferimento ovvio è a Trump, ma sarebbe interessante sapere se dietro queste parole non vi sia anche un po’ di autocritica per come la politica estera di Obama, e quindi pure di Biden, non abbia trascurato l’Europa e i suoi problemi durante gli anni di una crisi finanziaria generatasi proprio negli USA. In ogni caso, oggi gli Stati Uniti “sono determinati” a rinnovare il loro impegno con l’Europa.

Ma l’Europa o, meglio, l’UE quale tipo di interesse intende manifestare? Qualche giorno fa in una trasmissione televisiva il direttore dell’ISPI Paolo Magri ha usato un’efficace metafora per spiegare quale sia oggi la situazione: è come in un rapporto matrimoniale dopo un tradimento ammesso e perdonato. L’unione fra i coniugi viene confermata…ma non tutto è esattamente uguale a prima. Ovvero: quanto è accaduto durante il quadriennio trumpiano (ma aggiungerei anche, un po’, l’indebolimento delle relazioni nel nuovo secolo, con le presidenze di Bush jr e di Obama) non può essere dimenticato in poche settimane. Non tutto è come prima. 

E’ difficile per Bruxelles dimenticare, ad esempio, le rilevazioni circa le attività spionistiche condotte dagli americani nei confronti dei leader delle nazioni europee; o i danni causati dall’abbandono dell’accordo sul nucleare iraniano; o le minacce di un disimpegno della NATO se gli europei non avessero adeguato il loro contributo economico alle spese ad essa relative; o la fuoriuscita  dagli accordi di Parigi sul clima (non a caso una delle prime e positive iniziative di Biden: il rientro degli USA nei medesimi).

Ora però l’Amministrazione americana sta proponendo un riavvicinamento atlantico ideale (la difesa della democrazia), militare (il rilancio della NATO), economico (un comune e conseguente approccio multilaterale al mondo globalizzato). A fronte delle immani sfide che il dopo-pandemia presenterà a tutte le nazioni il rinsaldamento dell’asse transatlantico dovrebbe costituire un imperativo per i paesi dell’occidente: da questo punto di vista non appare allora casuale l’accento posto dal nuovo primo ministro italiano nel suo discorso di insediamento sull’atlantismo, oltre che sull’europeismo. Una dichiarazione d’intenti – senza alcuna ambiguità e nella massima trasparenza – che risulta tanto più gradita a Washington in considerazione del fatto che sarà proprio l’Italia quest’anno a presiedere il G20. Le relazioni dirette ai massimi livelli mondiali che il Presidente Draghi detiene da oltre un decennio ne potrebbero fare, nell’anno in cui Angela Merkel lascerà la Cancelleria, il leader europeo più influente, in grado di progettare il futuro prossimo delle relazioni transatlantiche. Un’occasione, a ben guardare, straordinaria per l’Italia tutta.