Nel 2022 sarà possibile per ogni Paese beneficiari correggere il tiro su alcuni progetti del Piano. Lo si potrà fare sostanzialmente in due modi. O in una logica di grande responsabilità nazionale o con uno sguardo più rivolto ai vantaggi immediati, alle aspettative delle varie corporazioni, e ovviamente alle prossime elezioni. L’Italia comunque non potrà assolutamente permettersi un governo “balneare”.

Mentre proseguono le votazioni per la presidenza della Repubblica, forse sarebbe il caso di porsi qualche domanda sull’indispensabile qualità dell’azione di governo. A maggior ragione di fronte al dilagare della quarta ondata della variante Omicron. Non c’è dubbio che il buon senso (ne esiste ancora?) consiglierebbe, in uno stato di totale emergenza, di lasciare ancora per un po’ – tra Quirinale e Palazzo Chigi – le cose così come stanno. E non c’è dubbio che dal momento in cui è emersa l’autorevole candidatura del premier alla presidenza della Repubblica, l’esecutivo si sia indebolito e la maggioranza si sia di fatto lacerata. Naturalmente andrà ricomposta (con quale perimetro?) alla luce dell’esito, quanto mai incerto, dell’elezione presidenziale. Le forze politiche sono inevitabilmente concentrate anche sulla scadenza elettorale del 2023, dalla quale dipende il loro peso specifico e persino, in qualche caso, la loro stessa sopravvivenza. Ma il destino del Paese è assai più importante di ciò ed è legato in realtà a un’altra data. 

Entro il 2026, infatti, andranno realizzati tutti gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Un Piano che non è praticamente già fatto, come qualcuno ritiene, ma ancora tutto da completare. Occorre infatti «mettere a terra» i tanti progetti vitali per l’ammodernamento del Paese, da definire entro il 2023, dallo sviluppo della sanità territoriale alla digitalizzazione e riconversione ecologica passando per l’alta velocità ferroviaria (soprattutto nel Mezzogiorno). Se falliremo sul PNRR, avremo perso l’ultima grande occasione per far ritornare l’Italia su un sentiero di crescita stabile e duratura, in una dimensione economica e civile più equa e inclusiva. E saremo esposti alle grandi difficoltà di gestire un enorme debito pubblico a tassi crescenti e la progressiva fine del programma di acquisto di titoli della Banca centrale europea (quantitative easing). 

Uno scenario da incubo che, se siamo seri e responsabili, non va mai dimenticato. Dunque, occorre salvare il PNRR dalla ricerca del consenso per le elezioni del 2023. E per farlo occorre che durante quest’anno ci sia un governo forte e autorevole e non un esecutivo di passaggio (una volta si sarebbe detto “balneare”) in grado solo di portare ordinatamente il Paese al voto nella primavera 2023.

La governance del PNRR, come sappiamo, è strettamente legata all’efficienza amministrativa. Molti dei 51 obiettivi già conseguiti dall’esecutivo negli ultimi mesi ne sono la diretta conseguenza. Ma molto dipende anche dalla credibilità personale del premier Draghi in Europa e di conseguenza del suo governo. E dall’approvazione di alcune riforme indispensabili per l’erogazione regolare dei fondi europei, ad esempio la disciplina della concorrenza e il codice degli appalti. È vero che il governo ha creato una struttura ad hoc per la governance del PNRR che è protetta da qualsiasi tentazione di spoils system. In altre parole, un nuovo esecutivo non potrebbe cambiarne la composizione solo per ragioni politiche. Ma è altrettanto vero che sarà necessario, per assicurare la realizzazione dei progetti, fare ricorso ai «poteri sostitutivi», cioè commissariare se necessario gli enti attuatori (Regioni e Comuni). E questo lo potrà fare solo un esecutivo autorevole, in grado di andare contro logiche crescenti di puro consenso territoriale e la resistenza della burocrazia, direttamente proporzionale alla debolezza dell’esecutivo. 

Nel frattempo, si moltiplicano le richieste di modifiche significative da parte delle Regioni. Il presidente della Sicilia, Nello Musumeci, ha già messo le mani avanti sull’incapacità di rispettare programmi e tempi. Il suo collega presidente della Calabria, Roberto Occhiuto, ha scritto direttamente al presidente del Consiglio chiedendo la revisione dei criteri stabiliti nel PNRR per le opere strategiche. Nel 2022 sarà infatti possibile per ogni Paese beneficiari – ed è questo un aspetto finora poco considerato dell’intera architettura del Next Generation EU – correggere il tiro su alcuni progetti del Piano, cioè apportare integrazioni migliorative. Lo si potrà fare sostanzialmente in due modi. O in una logica di grande responsabilità nazionale, con una maggiore attenzione al ritorno futuro degli investimenti; oppure con uno sguardo più rivolto ai vantaggi immediati, alle aspettative delle varie corporazioni, e ovviamente alle prossime elezioni. Ecco perché una volta concluse le “quirinarie” l’Italia non potrà assolutamente permettersi un governo “balneare”.