L’esperienza consolida la conoscenza. La cultura non è un brusco aut aut, ma un “legame” da comprendere e rinnovare.

Educare non significa guadagnare tempo, ma perderne. La prima regola è il rispetto che si deve alla persona destinataria dell’insegnamento. Le brusche accelerazioni non servono, anzi sono dannose: indulgere al nuovismo, anche negli studi, rovina il percorso formativo.

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Esperienza non è solo il nome che siamo soliti attribuire ai nostri errori, come maliziosamente ebbe a dire Oscar Wilde.

E’ piuttosto un valore aggiunto che integra e concretizza le conoscenze che possediamo, una personalizzazione del sapere che contribuisce a definire in ciascuno di noi diverse e originali identità.

Interessa riprendere in considerazione questo assunto, ogni volta che si sente parlare di scuola e di cultura: in genere la tendenza prevalente è quella opposta, si è portati a teorizzare e generalizzare laddove servirebbero maggior senso pratico, buoni esempi e capacità di stimolare il desiderio di apprendere.

Una buona formazione non consiste tanto nel riempire un secchio ma nell’accendere un fuoco (Plutarco- Rabelais) : è la motivazione la forza straordinaria che spinge ad imparare.

Sentendo parlare da anni di riforme e poi ancora di riforme, di ‘emergenza educativa’ e di derive critiche da ultima spiaggia viene da domandarsi se questi sussurri e queste grida non siano piuttosto il risultato di analisi astratte, di teorizzazioni problematizzanti, di forzature concettuali: polarizzando nella scuola i mali e le colpe dei conflitti generazionali ma soprattutto caricandola di responsabilità totalizzanti e senza appello si finisce col discettare di giustizia e di applicazione della pena con un imputato – suo malgrado- contumace e senza difesa.

E per chi – avendo sostato a lungo nelle aule e nei palazzi della formazione e dell’istruzione – ha lentamente contemperato e metabolizzato la grammatica nella buona pratica, vien quasi da sorridere ascoltando i discepoli del nuovo e del nuovismo, sproloquiarsi sulle cure, le terapie e la convalescenza di un malato che non hanno mai visitato.

Si capisce al volo se chi stiamo ascoltando (perché in genere si tratta di persone che hanno affinato l’arte della parola) disquisisce di ragionamenti elaborati a tavolino (e magari accompagnati dai rituali diagrammi di flusso che tutto sanno spiegare ma nulla risolvono) o se invece la sua narrazione ci appare convincente perché sa esporre una trama coerente nella sintesi tra conoscenze acquisite ed esperienze maturate.

Non diversamente accade nel percorso formativo degli alunni: per questo la scuola deve saper conciliare l’utilità di avvalersi di metodologie aggiornate rispettando tuttavia i tempi e i modi di apprendimento di ciascuno.

Le brusche accelerazioni e il mero travaso di nozioni non giovano alla causa educativa: di fronte a noi non abbiamo contenitori vuoti e uguali ma personalità poliedriche e diversamente ricettive.

Credo convintamente che la scuola debba accettare un principio di continuità tra apprendimenti e loro consolidamento interiore, concedendo tempi più distesi alla formazione che non consiste solo in un passaggio per osmosi ma necessita di esperienza, riflessione e metabolizzazione.

La cultura non è tanto un “aut-aut” quanto piuttosto un “et-et”. 

La diatriba su “conoscenze versus competenze” è pleonastica e – all’atto pratico – del tutto priva di significato e riscontri oggettivi: il gesto educativo non è un atto notarile che sancisce un percorso pedissequo e prestabilito poiché la dignità dell’insegnamento consiste piuttosto nella sua libertà.

E l’atto speculare – quello di imparare –  non si traduce in acritica assimilazione: non assomiglia al tragitto di una freccia ma al volo di una farfalla, ci sono slanci, pause, cambi di direzione.

Per questo è necessario considerare non solo l’oggetto della formazione (le materie, i metodi, le tipologie di verifica e valutazione) ma soprattutto il soggetto, che sfugge ad ogni aprioristica classificazione e va ponderato nel più lungo cammino della sua crescita piuttosto che nell’immediatezza di un singolo episodio.

Educare non significa guadagnare tempo ma perderne, di buon grado.

Ricordando le parole di Goethe: “il primo passo è libero, è al secondo che siamo tutti obbligati”.