Noi italiani siamo primi al mondo in due specialità sportive non invidiabili, apparentemente opposte eppure intimamente legate da uno stesso fluido di inferiorità psicologica: il servo encomio e il codardo oltraggio. Entrambe appartengono all’essenza delle relazioni umane con il potere e sono sempre unanimemente censurate con toni politicamente impeccabili, moraleggianti. Nessuno si sottrae al dovere sociale di condannare chi si piega al potere pro tempore, la moda obbligata è il contropotere, parlare sempre male di chi governa e sfrondare gli allori dallo scettro dei governanti di turno. Finché non cadono in disgrazia, e comincia un altro giro di giostra.

John Mayor è stato l’ultimo Premier Britannico Tory (prima dell’avvento di Boris Johnson) che è riuscito a vincere le elezioni, subito dopo la Thatcher, con una maggioranza conservatrice pura (1992). Di recente ha attaccato Nigel Farage, leader del partito sovranista Ukip, perché è “contro l’establishment”. Da noi non potrebbe fare un’affermazione del genere. In Italia, come ben sappiamo, l’establishment non è mai realmente esistito, è più un flatus vocis che una realtà. Non a caso, Leo Longanesi sosteneva che il liberalismo italiano era ristretto a due famiglie, i Croce e i Carandini. Per il resto, tra destra storica piemontese, sinistra trasformista, decennio giolittiano, fascismo e poi Prima Repubblica, non c’è mai stata nessuna base nazionale comune, riconosciuta e legittimata dalla continuità. Non abbiamo inventato e consolidato nel tempo un fondamento civile e culturale comune. In altre parole, l’establishment italiano è sempre stato “legato alle Alpi”, come sosteneva (a ragione) Gianni Agnelli. Bettino Craxi, di cui ricorre in questi giorni il ventennale della morte (a proposito, quante polemiche sterili sul film Hammamet), provò a far saltare il banco, pagandola duramente sul piano politico e personale, per la soddisfazione degli “intellettuali dei miei stivali”, come lui li definiva. L’establishment internazionale se ne liberò grazie all’aiuto di alcuni magistrati e del partito moralista, che venne poi bruscamente moralizzato dalla realtà. 

La leadership personale ormai è questo. Non esiste più la “Repubblica dei partiti” come sistema, non esiste più un ceto produttivo e borghese, non esiste più una intellighentsia di sinistra (neanche tout court), non esiste più la “coscienza di classe” con la sua rappresentanza politica. Oggi il “popolo” si muove flessuoso tra un’elezione e l’altra, è disponibile alle avventure politiche (purché di breve durata). Bisogna capire che, dopo il biennio 1992-1993, è venuta la stagione dei nani (senza neanche le ballerine di Craxiana memoria). Allora bisogna ricordare la lezione di Papa Francesco: non praticare la grandiosità ma seguire i piccoli passi attraverso i piccoli gesti.