LETTA ABBRACCIA I ROSSO-VERDI METTENDO ALL’ANGOLO CALENDA. LA SFIDA DI RENZI: CONTRO TUTTI, MA COME?

È uno scenario che apre nuovi varchi all’iniziativa di chi vuole un terzo polo altamente competitivo. Farne il crogiolo dei “liberali e riformisti” non vuol dire granché. Serve un “centro di progresso”, secondo la lezione e l’esempio di Sturzo, De Gasperi e Moro. Renzi procede senza un pensiero politico.

Stavolta bisogna riconoscere che la sintesi più chiara l’ha congegnata Renato Manneheimer, uno dei sondagisti più basonati e longevi presenti sul mercato. Ci sono motivi pratici che obbligano Letta a lavorare ad un accordo elettorale ampio, mentre sussistono ragioni strategiche che sostengono il tentativo renziano di costruzione del terzo polo. “Se politicamente Renzi ha ragione – ha dichiarato all’Adnkronos  – da un punto di vista tattico fa bene Letta a prendere più voti che può attraverso un’alleanza alquanto variegata […] La scelta di Renzi è coraggiosa, ma anche molto costretta dai fatti”. 

Ora, l’accordo a sinistra è stato chiuso. In che modo? Letta, Fratoianni e Bonelli si sono limitati essenzialmente a identificare il punto di comune interesse, vale a dire la possibilità di accrescere, stando insieme, le chance di vittoria nei collegi uninominali. Pertanto il progetto politico, delineato nel documento d’intesa tra Letta e Calenda, scompare dai radar della comunicazione di Pd e rosso-Verdi: non si parla di convergenze sulle grandi scelte, ma di un patto minimale, seppur significativo, consistente nella suddetta manovra a scopo elettorale, contro il blocco delle destre. Il richiamo alla “difesa della costituzione” appare circonfuso di nobiltà retorica. Non è detto che possa suscitare una convinta adesione popolare.

Chi appare davvero in difficoltà è Calenda, imprigionato a questo punto in uno schema che vanifica il tentativo di assegnare all’asse lib-lab (Pd-Azione-Più Europa) una nuova centralità nei processi di governo del Paese. Gli eventi delle ultime ore smontano le ambizioni di un riformismo a 24 carati e mettono a dura prova l’autocontrollo del suo più fervido sostenitore. E Calenda, notoriamente, non eccelle nella disciplina dello spirito, amante come pochi di esternazioni lapidarie e turgide reprimende erga omnes. Il suo silenzio, dopo che Letta ha biodegradato il movimentismo dei rosso-verdi, assomiglia a nube carica di pioggia. 

All’opposto, sul versante del terzo polo renziano, nuove opportunità si profilano all’orizzonte. Tutto sta nel vedere quanto la capacità tattica del leader di Italia Viva abbia il respiro giusto per andare oltre gli spiccioli di una propaganda inneggiante al protagonismo dei “liberali e riformisti”. In Italia, grosso modo, sono tanti e forse troppi a fregiarsi di questa generica formula identificativa. C’è qualcuno, a destra o a manca, che non si proclami liberale e non si senta riformista? A questo pozzo non si attinge acqua fresca. Anche Renzi deve piegarsi alla constatazione che il buco nero della politica italiana riporta alla questione di come sia possibile recuperare l’intelaiatura del “centro di progresso”, secondo la lezione e l’esempio di Sturzo, De Gasperi e Moro.

Se si vuole fare sul serio, il terzo polo va concepito e presentato con l’ardore di un pensiero politico.