L’Europa si faccia costruttrice di pace. L’editoriale di “Comunità di connessioni”.

 

LUnione deve riscoprire il proprio ruolo e fare di più sul fronte diplomatico. Infatti la diplomazia deve essere rimessa al centro, sullesempio di Papa Francesco che non si arrende di fronte ad un portone ancora chiuso. Per dare corso a questa volontà, bisogna cambiare il linguaggio utilizzato dai leader, optando per la scelta di parole più miti e moderate che favoriscano lapertura. Al netto di una condanna ferma alle brutalità, i toni devono stemperarsi. Serve ricostruire un terreno comune di dialogo trattando linterlocutore alla pari e riconoscendogli quellimportanza strategica che ancora può avere sullo scenario globale. Il testo è pubblicato con il consenso dell’autrice.

Rosalba Famà

Pace Ponte Avente Comuni Estremi” con questo acrostico, l’italiana Elena Garbujo di soli 16 anni vinceva il concorso “Pace, Europa, Futuro” indetto dall’Unione Europea nel 2012, con cui si chiedeva ai giovani europei cosa significasse per loro la pace in Europa. Nel 2012, per la prima volta, il premio Nobel per la pace veniva assegnato a una non persona fisica. Infatti, a ricevere l’onorificenza sul palco del municipio di Oslo c’era una rappresentanza delle istituzioni europee. L’Unione Europea, sin dalla sua fondazione, come recita il comunicato stampa, ha «contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace». Anche destre e sinistre convergono nell’individuare, tra gli achievements dell’Unione, proprio l’aver assicurato oltre sei decenni di pace e prosperità ai propri cittadini, sostituendo alle armi tavoli negoziali democratici permanenti in cui gli Stati Membri possono confrontarsi.

Dal 24 febbraio 2022, la guerra si è nuovamente affacciata sul nostro continente, spazzando via la prima delle nostre certezze: la pace, «Pace in terra, anelito degli esseri umani di tutti i tempi». In un momento delicato, quando stavamo iniziando a rialzarci dal dramma della pandemia, la guerra ci ha riportato un nuovo stato di ansia e incertezza. Allo stesso tempo, però, la nostra identità europea si è rafforzata. A fronte dell’attacco russo a un paese inerme come l’Ucraina, la risposta dell’Unione Europea è stata unanime.

LUE ha subito condannato linvasione, coerentemente con il diritto internazionale che considerava già linvasione della Crimea del 2014 una violazione sia del divieto dell’uso della forza sancita dalla Carta delle Nazioni Unite, sia del Memorandum di Budapest del 1994, sottoscritto da Russia, USA, UK, in cui gli stessi riconoscono e garantiscono l’indipendenza, la sovranità e i confini territoriali dell’Ucraina, che includono la Crimea e il Donbass. Al tempo stesso, l’Unione e i suoi cittadini hanno messo in campo una rete di solidarietà e di accoglienza dei profughi, mutando repentinamente il proprio approccio rispetto ai migranti: sono ad oggi oltre 5 milioni gli ucraini che hanno trovato rifugio in UE dall’inizio del conflitto.

Più complesso è il profilo relativo alle azioni da intraprendere a livello UE in risposta all’attacco russo. Già nel 2014 l’UE aveva adottato sanzioni economiche nei confronti della Russia, che tuttavia non sono riuscite a fermare l’escalation. Sono legittimi, pertanto, i dubbi di coloro che si interrogano sull’efficacia delle nuove sanzioni europee, che mirano ad indebolire il Paese destinatario dall’interno, spingendo i vari stakeholder che sostengono il governo russo a esercitare la propria influenza nella direzione della fine del conflitto per tutelare i propri interessi.

Le sanzioni, come spiega la prof.ssa Maria Paola Mariani, sono lunica via pacifica per rispondere agli illeciti e portare le parti a un tavolo negoziale. Al tempo stesso comportano un costo per chi le impone, con gravi ripercussioni in termini economici, che verosimilmente si andranno a scaricare sulle fasce più deboli della popolazione, ingenerando sofferenza sociale che influirà sul voto delle prossime tornate elettorali. Ma vi è di più, il grande quantitativo di gas russo che l’UE importa ogni giorno e la sua possibile riduzione preannunciano la più grave crisi energetica degli ultimi cento anni e spaventano il sistema produttivo. LUnione Europea si sta dunque confrontando con grossi temi, pagando lassenza di visione strategica degli ultimi ventanni.

Nel suo discorso del 3 maggio al Parlamento Europeo, il premier Draghi ha individuato i temi centrali della Conferenza sul futuro dell’Europa che si chiuderà il 9 maggio: l’autonomia energetica europea, l’autonomia della filiera produttiva e la difesa comune. Il Presidente Draghi è ben consapevole dei meccanismi decisionali dell’Unione che in alcune aree ancora richiedono l’unanimità, come le questioni relative alla Politica estera e alla sicurezza. Lunanimità alimenta un sistema di veti incrociati”, bloccando lassunzione delle scelte più ambiziose. Per questo Draghi ha parlato di «federalismo pragmatico» e della necessità di rivedere i trattati istitutivi.Tuttavia, la revisione dei trattati è un processo politicamente difficile, che richiede la ratifica a livello nazionale dei 27 stati membri, in alcuni casi anche attraverso referendum popolari dall’esito spesso incerto (cfr. Brexit). Sul tema è intervenuto anche il Presidente Mattarella con un autorevole intervento all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 aprile 2022 a Strasburgo quando ha ricordato il ruolo decisivo della comunità internazionale e la distensione, la coesistenza e il ripudio della guerra rilanciando il metodo di Helsinki e non di Jalta.

 

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