Relazione svolta il 9 novembre 2019 a Roma nel corso del Convegno su “Don Luigi Sturzo: l’uomo, il sacerdote e l’intellettuale” pubblicato dalla newsletter Servire l’Italia e organizzato dalla Venerabile Arciconfraternita Santa Maria Odigitria dei Siciliani.

Luigi Sturzo, fermo assertore dei valori della persona e soprattutto della morale, della legalità, della pace, della libertà e della fratellanza tra i popoli, sosteneva che – così come le nazioni moderne, malgrado i contrasti e le guerre, «si formarono col passaggio delle unità locali, città, contee e province, in unità superiori, regni, stati, nazioni» – è altrettanto «prevedibile che lo stesso passaggio avvenga da nazioni a gruppi internazionali a carattere regionale e continentale e da questi ad unità intercontinentali, e così via fino a una rappresentanza di tutti i popoli nel parlamento mondiale». Tanta fiducia nell’avvenire derivava a Sturzo dalla radicata convinzione – avvalorata dai suoi studi storici – che i piani della Provvidenza procedono verso la realizzazione di una comunità cosmopolitica. Va detto subito che l’aspetto europeistico, in tutta la sua concretezza, si coglie meglio nello Sturzo dell’esilio e del ritorno in Patria. Durante queste due fasi, – arricchite da un’esperienza vissuta da profugo in Inghilterra, Francia, Belgio, America e, poi, da parlamentare, a Roma – , la sua riflessione politica si allargò criticamente ai problemi del mondo occidentale e la sua produzione pubblicistica fu intensa e diffusa.

Nello Sturzo dell’Opera dei Congressi e del Partito Popolare Italiano non emerge ancora un’articolata idea di Europa. Il giovane sacerdote di Caltagirone, preso dalla questione sociale e, in particolare, dalla questione meridionale, aveva potuto dedicare poca attenzione ai problemi del Vecchio Continente. In lui si scorge, pur tuttavia, una innata, spiccata tendenza a valorizzare e a mettere in pratica l’antico principio che “l’unione fa la forza” e, convinto di ciò, sin dai primi anni della sua attività sociale, si prodigò per una lega delle cooperative, scrisse sulla opportunità della federalizzazione delle regioni, si fece promotore dei consorzi dei comuni.

Il grande interesse di Luigi Sturzo per la federazione della Europa nacque nel 1924, anno in cui, in seguito alla netta opposizione al regime fascista e su sollecitazione» della Curia Romana, egli dovette abbandonare l’Italia e rifugiarsi all’Estero. A contatto con altri esuli ebbe modo di confrontare le sue idee e di estendere le sue analisi agli Stati europei e al Continente nel suo insieme.
Nella prima fase di tale esperienza non va trascurata la collaborazione avuta dal pubblicista e avvocato modenese Francesco Luigi Ferrari, il quale, in ricambio, ricevette da Sturzo piena solidarietà alle sue iniziative. Ferrari fondò e diresse a Bruxelles la rivista «Res Publica», un periodico che riscosse, ben presto, condivisione e fiducia nell’opinione pubblica internazionale democratica e presso i fuorusciti italiani di varie tendenze politiche, tra i quali i fratelli Carlo e Nello Rosselli e Gaetano Salvemini.
Sturzo, assieme a Ferrari, allestì e lanciò un progetto di «Internazionale bianca», che, seppure si concluse con un fallimento, servì a fornirgli i necessari elementi per avere una chiara visione della situazione europea e, in special modo, della disponibilità delle forze democratiche e liberali per la creazione e il sostegno di organismi politici europei al di sopra degli Stati nazionali. E, già, nel 1929, parlava di «un concreto e alto ideale, quello degli Stati Uniti di Europa», al cui servizio, oltre all’«Internazionale bianca», denominata ufficialmente «Sécretariat international des partis démocratiques d’inspiration chrétienne», era anche nato il «Comité international d’action démocratique pour la paix».

Egli si diceva convinto che, «nel quadro di una larga federazione» avrebbero potuto «esistere ed avere vitalità propria non solo i grandi stati unitari come la Francia e l’Italia, le piccole unità statali come il Belgio e la Svizzera, ma anche le minoranze autonome, sia pur unite ai rispettivi stati come l’Alsazia, il Sud-Tirolo e la Croazia». E, consapevole di andare oltre la comune immaginazione e di potere essere tacciato di visionario, aggiungeva: «Gli Stati Uniti d’Europa non sono un’utopia, ma soltanto un ideale a lunga scadenza, con varie tappe e con molte difficoltà».

Sempre nello stesso anno, mentre politologi e sociologi erano impegnati a seguire gli sviluppi della grave crisi economica, Sturzo indicava le tappe, attraverso le quali sarebbe dovuto passare il processo di unificazione europea. «Occorre procedere – egli scriveva – ad una revisione doganale che prepari un’unione doganale, con graduale sviluppo fino a poter sopprimere le barriere interne. Il resto verrà in seguito. Non bisogna pensare che ciò sarà accettato contemporaneamente da tutta l’Europa; ma il nucleo centrale del problema risiede nei due stati antagonisti Francia e Germania; una intesa fra i due con l’assenso della Gran Bretagna e la condizione sine qua non della soluzione del problema europeo, entro il quale necessariamente si inquadrano tutti i problemi più o meno acuti delle molteplici minoranze» .

Con il secondo conflitto mondiale la sua idea d’Europa era ben definita. «L’Europa – egli dichiarava testualmente nel 1944 – deve andare verso l’unificazione di tutti gli stati, compresi Gran Bretagna e Russia». La federazione europea, a suo parere, si sarebbe dovuta estendere dall’Atlantico agli Uràli e dal Mediterraneo al Baltico senza escludere l’Inghilterra. E, a tal proposito, scriveva con tutta schiettezza e realismo: «Un’Europa unita senza Inghilterra sarebbe per essa, dopo secoli di primato conteso e di primato assoluto, una estromissione insopportabile; ma un’Europa unita con l’Inghilterra è un’ipotesi contraria ai canoni della politica inglese e quindi da farsi cadere».

Egli vedeva possibile la realizzazione del suo piano, perché, se tutti i paesi del Vecchio Continente avessero cercato le proprie radici storiche, avrebbero scoperto un comune substrato di civiltà, sul quale avrebbero potuto stipulare un patto federativo.
Unico suo cruccio era che il «totalitarismo della Russia» avrebbe, certamente, ritardato il necessario processo di unificazione. Ma dalle sue osservazioni non traspariva pessimismo, anzi, attraverso il tipico, concreto metodo d’argomentare, sembrava cogliersi un sottile filo di fiducia nell’avvenire.
«Noi vogliamo – sosteneva nel 1948 Luigi Sturzo, ormai tornato in patria – un’Europa indipendente e federata. Se l’oriente resterà totalitario, la federazione europea comincerà da occidente: Inghilterra, Italia, Olanda, Belgio, Lussemburgo. La Svizzera comincerà a mandarvi un osservatore perché la sua storica neutralità ha tuttora un valore. I paesi scandinavi sono, purtroppo, in una posizione assai delicata e debbono tenersi in guardia. L’Irlanda, superando i primi dubbi, finirà per intervenire».

Solo i popoli con governi democratici, proprio perché liberi, sarebbero stati in grado di capire l’importanza della federazione e, divenendone membri, avrebbero potuto contribuire alla formazione di salde istituzioni comunitarie. «I paesi non ancora liberi – egli aggiungeva – dovranno attendere per potere entrare. Perché un punto deve essere fermo: che a nessun paese, a nessuno stato che non sia effettivamente libero e democratico (nel senso reale e tradizionale delle parole) sarà mai permesso di partecipare alla federazione, dovendo tutti i paesi federati essere uguali e liberi per costituire una sola volontà politica della federazione».

Il monito non era rivolto soltanto ai paesi dell’Unione Sovietica, ma anche a quegli stati, come Spagna, Portogallo e Grecia, che, sebbene si trovassero nell’area occidentale e godessero dell’amichevole protezione degli Stati Uniti d’America, vivevano in regime dittatoriale. Sturzo, in pari modo, non si rassegnò mai alla sorte dei paesi baltici, che, non per loro colpa, avevano perduto l’indipendenza e ogni libertà di scelta politica. Secondo lui era inammissibile che Lituania, Estonia e Lettonia, «con storia gloriosa, propria lingua, cultura e tradizione», restassero «cancellati dalla carta politica internazionale, estranei alla comunione dei popoli, tenuti come schiavi in un paese straniero, soggetti ad altro regime, insidiati nella fede dei padri, distaccati dalla tradizione culturale, senza più speranza di libertà individuale e nazionale».

Secondo Sturzo l’unione europea avrebbe dovuto allargarsi a tutti quei paesi, latini, anglosassoni e orientali, che, facendo geograficamente parte del Vecchio Continente, erano stati direttamente o indirettamente influenzati prima dalla civiltà romana e, poi, innestata su questa, dalla civiltà cristiana.
Ma c’è qualcosa di più nel progetto di Sturzo. Egli, quando pensa all’Europa federata, ama immaginarla non come Europa degli Stati, bensì, piuttosto, come Europa delle Regioni, come l’Europa delle Etnie, nel senso che l’unione non deve soffocare le autonomie locali, anzi deve considerarle come le parti vive e reali dell’intera struttura comunitaria, la quale, a salvaguardia della sua esistenza e del suo sviluppo, non può non rendersi garante delle loro rispettive tradizioni, della loro lingua, della loro cultura. Sturzo nel 1950, con grande compiacimento di Altiero Spinelli, aderisce al Movimento Federalista Europeo e al Comitato Promotore per la petizione di un Patto Federale. Sturzo e gli altri illustri firmatari ci dicono con tutta chiarezza che cosa essi intendono per federazione europea e, attraverso quali organismi, questa debba svilupparsi: «Federazione europea – si legge nel manifesto – significa soluzione in comune dei problemi che interessano tutti i paesi associati e rispetto della tradizione e delle autonomie degli stati membri per quel che riguarda i loro particolari interessi: un parlamento europeo, eletto a suffragio universale da tutti i cittadini; un governo europeo, dotato dei mezzi necessari per farsi ubbidire, nell’ambito dei suoi poteri costituzionali; un tribunale europeo a tutela della uguaglianza dei popoli e della libertà dei cittadini; unità di politica estera, unità di esercito, unità di mercati, unità di moneta».

Da una sommaria indagine sull’attuale Unione Europea ci accorgiamo subito che siamo ancora molto lontani – se non addirittura agli antipodi – dal progetto sturziano di Europa. Infatti: l’attuale Unione Europea è qualcosa di ibrido tra la federazione e la confederazione con le inevitabili disfunzioni dell’una e dell’altra; il Parlamento è zoppo, non ha pieno potere legislativo; non esiste un governo federale rappresentativo; il tribunale ha una giurisdizione molto limitata; non c’è unità di politica estera; non c’è unità di esercito (nel 1954 la CED – Comunità Europea di Difesa – fallì portandosi dietro la proposta politica di federazione, De Gasperi ne morì di crepacuore, Sturzo ne soffrì maledettamente; l’unità di mercati e l’unità di moneta esistono, ma con la grave anomalia, mai verificatasi nella storia, di essere acefale, ossia di essere prive di una direzione politica federale, di un governo federale Certamente abbiamo avuto anche dei vantaggi dalla Comunità e, poi, dall’Unione Europea, ma ci si è scostati di molto dal modello organico auspicato da Luigi Sturzo e, con lui, da Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Jean Monnet, Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak, dal nostro Gaetano Martino.
Il processo di integrazione europea ha preso, purtroppo, una strada diversa sino a occultare le sue radici cristiane, sino a essere messo in difficoltà dal fenomeno sovranista. Lo spirito tecnocratico — figlio delle grandi ideologie illuministiche e comuniste — impera sovrano tramite le banche e tramite una burocrazia anonima e onnipotente.

Nel progetto sturziano è insito con caratteristiche ben delineate anche il concetto di Eurafrica, ossia di una possibile confederazione, o, quanto meno, di una più intensa e amichevole collaborazione tra la Comunità europea e i paesi africani bagnati dal Mediterraneo. Un passo in siffatta direzione avrebbe consentito all’Europa di riacquistare in Africa quella fiducia e quel credito che un certo, selvaggio colonialismo le avevano tolto, mentre sarebbe stato quanto mai vantaggioso per entrambi i continenti instaurare un clima di pace, di collaborazione politica e di rapporti commerciali.
È superfluo sottolineare il ruolo di eccezionale importanza che in tale contesto la Sicilia, avrebbe assunto. Essa avrebbe potuto porsi come anello di congiunzione, come naturale, storica cerniera tra i due continenti. Sturzo, sollecitando un maggiore interesse della Comunità per i paesi del Mediterraneo, raccomandava che, qualora si dovesse discutere sulla città da mettere a capitale dell’Europa, si dovrebbe porre attenzione alla posizione geografica e sceglierla tra quelle del Sud. Per lui ha «un certo peso il fatto del Mediterraneo come un epicentro europeo e centro internazionale di decisiva importanza», tanto che la stessa storia ci insegna che «questo mare è stato sempre decisivo nelle vicende umane, anche quando, dopo la scoperta dell’America, sembrò che per secoli avesse perduto il suo antico ruolo» (10). Nessuno nel 1939, a giudizio di Sturzo, avrebbe pensato che «la guerra scatenata da Hitler sarebbe stata risolta nel Mediterraneo».

E nessuno, – oggi noi possiamo dire -, proprio nessuno, neppure il lungimirante Sturzo, avrebbe potuto immaginare che il Mediterraneo nel terzo millennio sarebbe stato attraversato, con la sconcertante indifferenza dell’Unione Europea, da centinaia di migliaia di disperati in cerca di pane e di libertà e che migliaia di costoro, in uno scenario apocalittico, sarebbero state spietatamente inghiottite dalle sue acque.
L’attenzione di Sturzo per il Meridione del Vecchio Continente non muoveva da spirito campanilistico, bensì dalla duplice consapevolezza che l’Europa non poteva essere concepita tutta al Nord e che una buona politica mediterranea, contribuendo a spegnere i focolai di guerra, avrebbe favorito il processo di riunificazione dei popoli.