L’importanza del dialogo e del racconto per Papa Francesco

Nella fossa dei leoni, a proprio agio

Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di Andrea Monda

Se ripercorriamo la lunga intervista che Papa Francesco ha rilasciato alla giornalista messicana Valentina Alazraky si rimane colpiti da tanti passaggi ma forse ancora di più dal tono e dallo stile, davvero “a cuore aperto”, che il Papa ha avuto durante la conversazione.

Un tono e uno stile essenzialmente dialogici, non è un caso che “dialogo”, “dialogare” siano le espressioni più ripetute nelle risposte del Papa. Il dialogo è il “condimento” che il Papa inserisce in ogni argomento affrontato, sin dall’inizio parlando dei muri che si alzano a difesa «quando la difesa è il dialogo, la crescita, l’accoglienza..», quel muro che rende prigionieri chi li costruisce, quando invece «chi costruisce ponti fraternizza, dà la mano, anche se resta dall’altro lato, c’è dialogo».

Per sviluppare un dialogo costruttivo ci vuole creatività dice il Papa citando Paolo VI: «Ma la politica è creativa. Non ci dimentichiamo che è una delle forme più alte della carità».

Il dialogo è l’essenza della politica e la linfa vitale della società, un dialogo che si muove in verticale, tra le generazioni, e in orizzontale, tra uomini e donne: «Io consiglio sempre ai giovani di parlare con gli anziani. E agli anziani di parlare con i giovani, perché un albero non può crescere se gli tagliamo le radici. […] Dialogare con le radici. Ricevere dalle radici la cultura. Allora cresco, fiorisco e do frutto. E genero e si va avanti. Questo dialogo tra gli anziani e i giovani per me è fondamentale nella presente congiuntura».

E poi il dialogo tra uomini e donne a cui il Papa dedica un lungo passaggio della sua conversazione con la Alazraky, quasi una riflessione a voce alta dai toni a tratti commossi come quando parla ad esempio delle donne del Paraguay «fantastiche lottatrici» che «hanno difeso la patria, la cultura, la fede e la lingua». Un’ammirazione per le donne che lo porta ad affermare che «il mondo senza le donne non funziona», perché «c’è una parola che sta per uscire dal vocabolario, perché fa paura a tutti: la tenerezza. È patrimonio della donna». Tenerezza e forza, per niente in contraddizione ma in perfetta simbiosi. Quella forza che permette di affrontare il male chiamandolo per nome, ad esempio quando l’intervistatrice conduce il Papa sui temi più scottanti come quello degli abusi sessuali. Il Papa non arretra, non sfugge di fronte alla sfida di un male che «non si può spiegare perché non ha senso, usando una definizione di un filosofo francese. Non ha senso. Qui vediamo solo lo spirito del male che induce tutto questo. E dico la verità, non riesco a spiegarmi il problema della pedofilia, senza vedervi lo spirito del male». Paul Ricoeur, il filosofo francese, diceva infatti che il male è l’assenza della spiegazione, non si può spiegare ma si può raccontare. Ecco lo stile, il metodo che Papa Francesco sta praticando da sei anni: raccontare storie, cioè dotate di un nome e un volto, che vuol dire anche raccontarsi, guardandosi negli occhi. Ci vuole forza, coraggio, sincerità nel dire la verità chiamando le cose con il loro nome, il passaggio sul tema dell’aborto in questo senso è emblematico. Se manca questo coraggio non può nascere quel dialogo che è apertura al confronto e ricerca del bene, anche quando si è di fronte a qualcosa che è visto come male.

Come al solito il Papa non si diletta in elucubrazioni teoriche ma offre spunti concreti, molto pratici. Illuminante da questo punto di vista la sua riflessione, utilissima per chi voglia oggi stare nell’agitato mondo della comunicazione, su come dialogare con i “nemici”: «Voglio essere onesto in questo. Di fronte a un governante io cerco di dialogare con il meglio che ha. Perché è a partire dal meglio che ha che può fare del bene al suo popolo […] bisogna riconoscere il bene che c’è in una persona, anche se poi ha pure cose cattive. “Lei ha questo, è bene, continui in questa direzione”. Così mi muovo. E trovo qualcosa di buono in tutti, buona volontà, anche nei non credenti, fanno sempre qualcosa di buono. E questo serve anche per le persone. Cioè, “questa persona mi sta antipatica”. Bene, ma questa persona antipatica, che parlerà persino male di me, ha qualcosa di buono? E se ha questo e quello… Allora penso in ciò che ha di buono e la tormenta si calma. È una cosa che sarebbe bene che tutti facessero».

C’è qualcosa di gesuitico in questo atteggiamento, che ricorda l’invito di S. Ignazio a “cercare e trovare Dio in tutte le cose”, ma ancora di più, c’è qualcosa di biblico nel modo con cui il Papa attraversa il mondo affrontando le sfide più insidiose, che spesso si annidano proprio nel mondo dei media: «Io con i media mi sento a mio agio […] Nella fossa dei leoni, ma a mio agio e rilassato. E in generale le domande sono rispettose. Chiaro che quando i problemi sono più scottanti, può essere più difficile per me rispondere, ma ciò non vuol dire che io mi senta distaccato dai media, no, anzi, sono a mio agio con voi». Ecco il punto, rimanere forti ma senza distaccarsi dall’interlocutore, provando affetto per lui e sforzarsi di mantenere vivo il dialogo, raccontando la propria storia, scommettendo sul bene che splende in fondo a ogni situazione, anche nella bocca di una fornace o in una fossa di leoni.