L’improbabile grazia di stato della Casellati

Un’evocazione semi blasfema non offende soltanto la sensibilità delle persone che nutrono sentimenti religiosi.

Non ci sono tante parole da spendere sull’episodio che ha visto coinvolta la Presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati, nella seduta ultima dell’Assemblea di Palazzo Madama. Soprattutto non ce ne sono sulla sua reazione, dovuta certamente a nervosismo e stanchezza, dopo che i richiami a un’Aula turbolenta non avevano sortito effetto. Ripetere a distanza di ventiquattr’ore un voto di fiducia è un fatto di per sé insolito, segno anch’esso della conflittualità che domina l’attuale fase politica.

Non ci sono da spendere tante parole neppure sull’imprecazione uscita incautamente dalla bocca della Presidente, in stato di evidente agitazione, senza perciò il necessario self control che l’alta carica istituzionale impone. Diciamo solo che è imbarazzante ciò che riguarda, in effetti, tanto la forma quanto la sostanza di tale condotta.  Si è trattato di un cedimento che finisce per incrinare il prestigio del Senato della Repubblica.

Un’evocazione semi blasfema non offende soltanto la sensibilità delle persone che nutrono sentimenti religiosi. Anche i laici, intendendo per essi i lontani dalla Chiesa, possono cogliere il disvalore di quella che appare come una maldestra espressione d’ira. Tuttavia, sarebbe altresì sbagliato mettere tra parentesi l’offesa recata agli assistenti parlamentari, con lo sgraziato appellativo di “pupazzi” affibbiato loro dalla Casellati. Incommendevole!

In realtà, bisogna riconoscere che dirigenti funzionari e commessi, cioè tutti coloro che popolano l’universo burocratico di Palazzo Madama, costituiscono un “corpo scelto” di servitori dello Stato. Chiamarli pupazzi è a dir poco sconveniente. In altri tempi, sarebbero state invocate le dimissioni “per indegnità” della seconda carica dello Stato. Oggi si preferisce soprassedere, lasciando alla Rete il compito di irridere l’esorbitanza volgare di chi avrebbe il compito di rappresentare il massimo della compostezza ai “piani alti” delle istituzioni. Da questo momento la Presidente del Senato è destinata a convivere con l’immagine della sua improbabile grazia di stato.