Articolo pubblicato sulle pagine di http://www.istitutomounier.it/

Nelle condizioni sociopolitiche contemporanee discutere di integrazione religiosa significa inverare un universo di valori a cui la filosofia politica contribuisce dal punto di vista culturale per riaffermare il valore della presenza del dialogo come elemento della propria specificità. Non intenderemo parlare di “repubblica ecumenica”, ma affronteremo l’argomento attraverso i caratteri propri della filosofia politica e come essa può aiutare il dialogo interculturale attraverso il fondamento e le finalità stesse della disciplina;non possiamo dimenticare che con il crollo del comunismo nei paesi dell’est europeo, l’abbattimento del muro di Berlino che proprio in questi giorni compie 20 anni e l’incontro storico tra Giovanni Paolo II e Michail Gorbaciov,con la proclamata fine dell’ateismo di stato nell’Unione Sovietica,si è realizzato un mutamento direi epocale,iniziato con la fine di quella che non possiamo non definire la “terza guerra mondiale”, ovvero la fine della guerra fredda, vinta dal mondo occidentale sul versante scientifico e tecnologico e non già su quello militare.

Tuttavia dobbiamo approfondire maggiormente il versante storici che a volte inconsapevolmente abbiamo vissuto e per certi versi viviamo ancora; dobbiamo approfondirlo per entrare nel vivo della tematica da affrontare e che coinvolge anche e soprattutto il dialogo interreligioso. Con il novembre ’89 non si è concluso solo un ciclo,quello che Hobsbawn ha definito il “secolo breve”, né quello storico del socialismo reale o del manifesto comunista del 1848, ma un periodo di più ampia valenza,non solo politica o economica,ma anche filosofica,religiosa e spirituale. Tale ciclo che si è concluso da non molto tempo era nato con l’inizio dell’età moderna e nell’ambito dell’unità religiosa e spirituale europea, con la riforma protestante, che ha condotto ad una parcellizzazione non solo di tipo ecclesiale, con le note storiche divisioni tra chiese,ma anche ad una frantumazione metafisica, politica e sociale. Nell’arco di meno di un secolo si è collegata,alla dissociazione della natura dalla grazia, tra il 1500 e il 1600,una forte rottura di tipo culturale che ha seguito quella religiosa e che ha messo in crisi,soprattutto nel mondo universitario la cultura umanistica, metafisico, giuridica e letteraria e quella scientifica,di tipo fisico medico. La prima si è venuta sviluppando sul piano della razionalità,introdotto dal Discorso sul Metodo di Cartesio, fino ad arrivare alla dialettica di Hegel; ma la seconda,ovvero quella che si definisce “scienza esatta”, ha inaugurato con Galilei il metodo sperimentale, che già Niccolò Machiavelli aveva anticipato separando la politica dalla morale.

E’ impossibile, credo, negare che tale rottura del metodo, sul piano della libertà dell’uomo abbia contribuito a determinare una straordinaria spinta evolutiva al progresso per la costruzione delle ideologie moderne e il loro dominio sulla politica,spianando la strada alle grandi conquiste ingegneristiche,informatiche e scientifiche,ma non di meno si sia posto il problema della stessa distruzione dell’uomo e del collegamento dell’etica con la scienza e anche con la filosofia. In tale ambito avvertiamo come il quadro evolutivo storico culturale,attraverso una spinta verso l’esaltazione della sola dimensione razionale dell’uomo,abbia condotto ad escludere dalla struttura sociale ogni valore trascendente ed abbia condotto ad affermare sul terreno politico,a partire da Ugo Grozio il giusnaturalismo in conflitto con la tradizione proveniente dal diritto romano e che ha finito per identificare il diritto solo con lo stato. Dopo l’anticipazione inglese,un punto fondamentale di svolta sui diritti dell’uomo è stato offerto da due grandi rivoluzioni,quella americana e certamente quella francese,ma mentre fino al 1791 era possibile la convergenza di una parte del mondo religioso su taluni valori della dottrina illuministica che esaltava i principi essenziali di libertà propri del cristianesimo,l’estremizzazione del pensiero illuministico più radicale come quello esposto dagli enciclopedisti e dallo stesso Rousseau,ha aperto lo iato con il mondo religioso “tout court”. Infatti la teoria del contratto sociale che Rousseau riprende da Hobbes e da Locke,risulta ancora oggi incompatibile con una concezione liberale democratica che sin dal XVIII ha visto tra i protagonisti personaggi di spessore religioso quali Alessandro Manzoni e il teologo e filosofo Antonio Rosmini Serbati; sostenere che la società sorge per un contratto,vuol dire aprire la strada al più grande e radicale individualismo,che oggi vediamo diffuso ad ogni livello e che impedisce il rapporto anche solo di dialogo tra visioni filosofico religiose differenti.

Inoltre tale individualismo contemporaneo è sostenuto politicamente dalla teoria di una volontà generalizzata che si fonda sul diktat parlamentare,ma che rifiuta l’autonomia delle società intermedie, quei “corpi intermedi dello stato che sono stati la conquista anche in termini di riconoscimento dell’autonomia e della sovranità del pensiero religioso,delle società democratiche e che non si può dire che siano nati per volontà dello stato in sé. In questo senso possiamo affermare che si inverano le radici di quel terrorismo che sui è espanso nel mondo negli ultimi anni in forme estremizzate di carattere politico e religioso. La caduta dell’ideologia comunista ha fatto riemergere pretese egemoniche e aspirazioni integralisti che;tuttavia il Concilio Vaticano II ha aperto la strada per un apertura al dialogo con le altre chiese cristiane ,come anche le chiese monoteiste provenienti dal comune padre Abramo e,in genere,con le chiese spirituali esistenti nel mondo. Con la caduta del muro di Berlino si sono create le condizioni per il passaggio dalla cultura moderna ad una cultura postmoderna,aprendo,tuttavia,una crisi non facile con possibili rischi di involuzione della stessa libertà religiosa, civile, politica,imponendo una vigilanza sui principi fondamentali del vivere civile. Esistono oggi,credo,tre emergenze della cultura postmoderna: 1)il ripudio della guerra e le limitazioni della sovranità fra gli stati per assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni 2)il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo,le libertà civili,politiche e religiose 3)la libertà di tutte le confessioni religiose.

Tutto questo per giungere nel tempo alla costruzione di una cultura postmoderna fondata su tre fondamentali unità nel mondo contemporaneo. La prima di esse è costituita dalla fine della divisione del mondo secondo ideologie contrapposte,che ancora le forze politiche della sinistra europea non hanno percepito ed è il motivo della loro sconfitta costante;ma anche la fine di quella unità creatasi sotto l’egemonia dello stato militarmente più forte e in ciò è veramente profetica la pastorale di Giovanni Paolo II che già dal 1985 con l’incontro tra le grandi religioni seppe individuare il crinale del nuovo millennio che si avvicinava in tutte le sue sfumature. La vera unità che si deve creare è quella della parità delle nazioni attraverso una migliore organizzazione delle Nazioni Unite,per potere esercitare nei confronti dei singoli stati che violino le regole internazionali,un potere forte,sopranazionale. In questa una visione filosofica della politica concorre alla formazione di comunità politiche internazionali e parziali,come quella europea,americana,africana,dei paesi musulmani,dell’India e del Medio Oriente. Tuttavia si rivela fondamentale la seconda unità mondiale da costruire:quella religiosa,perché non è più sufficiente il riconoscimento solo di una libertà religiosa individuale,bensì deve essere riconosciuta la libertà di manifestazione di ogni singola religione,pur nel rispetto della laicità degli stati,che però non significa indifferenza agnostica.

Alla testa di questo movimento vi è la Chiesa Cattolica,che ha sviluppato nei decenni i principi del Concilio Vaticano II che ha condotto a raccogliere tutte le religioni cristiane,per arrivare alla confluenza possibile di tutte le religioni monoteiste e alla convergenza delle religioni operanti secondo principi spirituali,dialetticamente contrapposte ai principi che depauperano la ricchezza intrinseca dell’uomo-creatura. La terza unità non è di meno importante,perché è quella del diritto,che si richiama ai principi del diritto romano,che si sono diffusi in questi ultimi 20 anni anche nei paesi dove si è verificato il crollo dell’ideologia comunista o che,pur restando comunisti sui principi del potere stabile,hanno accettato i principi e la prassi del libero mercato. Ma la politica non va considerata come un male necessario per il bene dell’umanità,ma non è nemmeno una realtà che serve a sopravvivere per consentire all’uomo una vita l,ibera.

Il valore della politica chiama in causa “l’ordine delle cose”,che può essere funzionale rispondendo a uno scopo preciso della natura delle cose medesime e occorre parlare preliminarmente della natura dell’uomo. Quando Dio stabilì “Non è bene che l’uomo sia solo”(Gen.2,18)e creò il suo simile ordinando gli di crescere assieme e di prolificare,stabilì la nascita della società e che la vita umana potesse essere concepita solo all’interno della società,che è il mezzo naturale per la crescita dell’uomo,la sua condizione naturale di esistenza. La comunità politica non deriva,in quanto società naturale,dalla famiglia o dalla società civile,perché queste non esisterebbero se la società politica non fosse legittimata ad esistere. La famiglia,la società civile e quella politica sono realtà diverse,ma autonome,distinte ma legate e sono realtà “positive” di cui l’uomo ha assoluto bisogno per conseguire il suo bene. La comunità politica ha lo scopo di riconoscere accanto alla natura,il ruolo della “grazia”,in modo che lp’uomo,proprio perché persona,non sia molestato dalla politica,che è scienza del bene comune e strumento per la garanzia dell’autonomia dell’uomo stesso.

E’ la “libertas maior”che consente la vera convivenza tra gli uomini come ricorda S.Agostino che è impossibile in assenza di ordine della politica e gli stati moderni,sovente,non l’assicurano attraverso leggi che infrangono il diritto naturale,in primo luogo quella sull’aborto che fa configgere la legge con la legalità. La sovranità è l’essenza del naturalismo politico,sia in termini di sovranità dello stato che popolare e nell’enciclica “Libertas”del 1888 Leone XIII sottolinea che la sovranità è il principio capitale del razionalismo,ovvero il tentativo dell’uomo di ordinare a modo suo il mondo. Ma già Platone nelle “Leggi” ammoniva che una polis che non è governata da Dio ma da un uomo,non ha possibilità di scampo dal male e ciò perché,allora come oggi la sovranità poiché rivendica il diritto di ordinare il mondo secondo i dettami dell’umana ragione,identifica la razionalità con il calcolo,come la libertà con la licenza e la verità con l’opinione o la morale con la legalità. Rinviare all’esperienza per cogliere l’essenza della politica esclude la possibilità di confondere il mero potere con l’autorità che,viceversa,è un elemento morale che,se è tale,va esercitato legittimamente perché ordinato al bene della persona,che non dipende dal consenso e il governo politico non è legittimato,come dice Locke, dal “consentimento” all’assoggettamento alla podestà politica,ma dalla finalità perseguita dal potere stesso.

Se si considera,in filosofia politica,legittima una sola ed esclusiva forma di governo,allora si assegna valore al consenso non come mezzo,ma come fine,arrivando a considerare il nichilismo fondamento dello stato ed è ciò che è successo nel XX sec. con le grandi ideologie che prescindevano dalla religione come valore unificante:si è trattato di una contraddizione in termini del naturalismo politico,che si è rivelato incapace di individuare i motivi della politica di cui tutti facciamo e non possiamo non fare esperienza. Il dialogo come ricerca della propria verità nelle verità degli altri è sostenuto dall’esplorazione continua nel campo sempre più esteso dell’ignoto e le religioni soccorrono il bisogno di superare la ripetizione ossessiva di verità comunque riduttive e parziali. La coscienza,l’intelletto,la volontà,la sensibilità e la ragione,che rappresentano la dotazione invisibile di ciascun uomo,lo rendono capace di governare la natura in ordine al processo di compimento dell’unità personale e di unificazione di tutta la comunità umana. Dopo la fine della contrapposizione tra liberalismo e comunismo si fa sempre più drammaticamente chiara la scelta dilemmatica che l’umanità è costretta a compiere in tempi brevi:o nazionalismo come rivalità o federalismo come pacificazione;si deve quindi evitare un processo autodistruttivo irreversibile e seguire la strada dell’integrazione a tutti i livelli che è l’unica possibilità di salvezza per l’uomo del nuovo millennio.

Tuttavia non si può disprezzare l’indeterminatezza del bene concepito dalla ragione,perché vi si realizza il primo nucleo fondante della dignità umana e della stessa esistenza della libertà. La volontà attinge al concreto,ma in quanto pensato nel concetto razionale perché,viceversa,non saremmo capaci di astrazione razionale e di vera libera volontà e occorre discernere l’inclinazione spontanea del volere verso il bene assolutamente infinito,dall’atto volontario,contingente di per se. Il sommo bene è Dio,perché assolutamente infinito,ma non è il bene in generale e neppure l’inclinazione del volere verso l’assoluto è di per sé ilo vero movimento del volere verso Dio perché non c’è ancora un libero atto di scelta. Di conseguenza la volontà è facoltà di tendere verso Dio,mas non vuol dire che la volontà per essenza tenda sempre concretamente verso Dio,perchè si tratta di un azione che è oggetto di una nostra libera deliberazione e non è di tutti gli uomini,mentre tutti gli uomini,per la natura stessa del loro volere,non possono non cercare un assoluto infinito.

E’ necessario comprendere il contenuto che ogni uomo mette nelle inevitabili forme che sono oggetto del desiderio naturale ed universale della volontà;l’uomo per libero arbitrio può scegliere di assolutizzare il relativo,creando il relativismo o considerare infinita la realtà finita pervenendo all’ateismo o considerare il parziale giungendo al panteismo e,in politica,al totalitarismo. Ma la volontà è sempre orientata al bene perché la ragione è orientata alla conoscenza dell’ente e ogni ente è buono perché può essere oggetto di una volontà,che quando la si esercita non può non volere qualcosa,ovvero un ente che per lei è il bene,perchè al contrario non lo cercherebbe e d’altronde una volontà senza oggetto non è una volontà e gli uomini non possono volere un non essere. La libertà è una proprietà della persona e non dell’intera natura dell’uomo intesa in senso astratto e per capire l’essenza della libertà come attributo della volontà occorre possedere un giusto concetto della specifica essenza dell’uomo. La ragione prepara l’esercizio della volontà e perciò della libertà e l’atto della libera volontà deriva dalla ragione,ecco perché la ragione e la libertà sono una l’effetto dell’altra giacchè “radix libertatis est in ratione costituita” ed è per questo che i Vangeli ci ricordano l’ammonimento “Veritas liberavit vos!”.

E’ certo possibile conoscere la verità e non metterla in pratica,ma è impossibile praticare il vero bene senza prima averlo conosciuto;la ragione formula il giudizio pratico che informa l’azione,ma è la volontà che rende operativamente possibile il giudizio traducendolo nei fatti. La libertà non è autosufficiente,ma è un mezzo,il libero arbitrio,che deve rapportarsi a precisi contenuti che corrispondono al nostro bene,alla nostra liberazione,come recita il “Pater Noster” perché non si può affermare il solo libero arbitrio senza la libertà di essere perfetti. Per vivere l’autentica libertà,occorre vincere la tentazione di sentirsi detentori di una libertà infinita,rispetto ai limiti della natura umana perché l’uomo non può non orientare il suo pensiero ad un assoluto che è certamente Dio,che vuole essere scelto liberamente dall’uomo al quale accorda anche la facoltà di rifiutarsi a Sé.

Ogni uomo tramite la ragione può governarsi da solo,anche se S. Tommaso d’Aquino osserva che solo apparentemente l’uomo si sottrae al governo di Dio che si compiace di governare l’uomo proprio accentuando la sua indipenden za,perché l’uomo più si governa e più è governato da Dio. Anche in politica la ragione svolge un ruolo fondamentale nel legittimare l’uso della libertà:è la più remota ma nel contempo la più ardua regola della convivenza civile,l’alleanza tra governanti e governati e dove le religioni possono svolgere il ruolo di contribuire a sostituire il potere con l’autorità dei migliori in un percorso di incivilimento di tutte le società ormai globalizzate,per realizzare etica e politica in contesti democratici nei quali la ragione e la libertà siano realmente il fondamento delle scelte consapevoli e responsabili dei cittadini,per evitare,come ammoniva S. Caterina da Siena nella Lettera ai Signori di Siena,di “..mettere a governare uomini che non sanno nemmeno governare sé stessi e che chiudono gli occhi al punto di far subire il torto a chi ha ragione e a dare ragione a chi ha torto”