L’isola che non c’è

Anche quest’anno i sardi che lavorano in Continente, assieme ai vacanzieri diretti sull’isola, devono fare i conti con le compagnie aeree e navali

Anche quest’anno i sardi che lavorano in Continente, assieme ai vacanzieri diretti sull’isola, devono fare i conti con le compagnie aeree e navali. Prezzi esorbitanti. Non pochi preferiscono ripiegare in Puglia, in Calabria, persino in Egitto. Molti altri rimangono a casa. La Sardegna non ce la fa.

Gli amministratori pubblici non tentano di organizzare un tavolo di confronto con le compagnie navali e aeree, per calmierare i costi dei viaggi. Se parliamo dei servizi sul territorio, è meglio che stendiamo un velo pietoso. Da un lato, le tasse causano l’aumento dei prezzi di cibi e servizi. Un gelato, tra l’altro di discutibile fattura, costa in media due euro “a pallina”. Roba che non si usa più nemmeno nelle più infime località turistiche il gelato “a pallina”. Dall’altro lato, gli esercizi commerciali, dovendo contare su un flusso turistico che dura circa sei mesi, cercano di “mungere” quanto possono in tutto il periodo possibile. La maggior parte dei lavoratori sull’isola è impiegato negli esercizi turistici per un periodo limitato: in media da Pasqua a settembre. Dopo di che, vanno in disoccupazione. Possibile che non si riesca a strutturare una filiera di servizi che duri tutto l’anno? La Sardegna non è soltanto mare e cibo, come fa comodo pensare.

Non poche strutture archeologiche, ben più importanti di Pompei, sono lasciate a se stesse, allo stato brado. Quante Pompei in Sardegna possono essere valorizzate attraverso tour di autobus turistici tutto l’anno? Quante strutture a tema possono essere erette attorno a nuraghi et similia? Il fascino della cultura archeologica sarda è incommensurabile. Tuttavia, pare che il governo locale non sia particolarmente sensibile a questo. Lo sono invece alcuni sardi che, autonomamente, cercano di valorizzare la propria terra come possono, con passione e coraggio. Sono molto pochi, purtroppo. Pensiamo alle scoperte archeologiche fatte da Leonardo Melis, da semplice cittadino, riaprendo un dibattito quasi spento su Shardana e popoli del mare. Pensiamo alle strutture megalitiche presenti sull’isola e lasciate a se stesse. Pensiamo al Monte d’Accoddi, attribuito alla Cultura di Abealzu-Filigosa, della Sardegna prenuragica: una vera e propria piramide “sumera” nei pressi di Sassari; attorno ad essa potrebbe sorgere un parco a tema, fatto da bar, ristoranti, sale multimediali per turisti e scolaresche. E invece niente. Un altro privato cittadino, Manuel Dettori, ha intitolato il suo locale gastronomico “Rima Bar Bistrot” dedicandolo ai sumeri, con tanto di simbolo sacro del dio Anu, rimarcando l’origine ancestrale del popolo sardo. Pensiamo allo storico Hotel San Pantaleo, eretto nella medesima località, gemma incastonata in una gemma, a zero impatto ambientale, tra le montagne ocra, rosse al tramonto, e il mare turchese.

Non bastano le idee, l’eroismo, il coraggio, l’intraprendenza dei singoli. Serve che l’amministrazione dell’isola riconosca il suo statuto di “speciale” anche quando bisogna creare progetti sul territorio, uscendo fuori dal campanilismo e dalla logica sussidiaria. In caso contrario, la Sardegna rimarrà sempre, suo malgrado, un’isola che non vuole esserci, mancando di riconoscere il suo valore nelle nuove logiche del mercato globale e del turismo internazionale.