L’ITALIA DI DE MITA, L’OCCIDENTE E “IL CLIMA DI FIDUCIA” NEI RIGUARDI DI GORBACIOV. ORMAI…UNA PAGINA DI STORIA.

 

La scomparsa di Michail Gorbaciov induce a riflettere su ciò che è stato il processo di apertura da lui avviato nelle relazioni tra est ed ovest, fino alla caduta del Muro di Berlino. In quella fase, l’Italia contribuì a rafforzare la fiducia del mondo occidentale nel programma di riforme del segretario generale del partito comunista sovietico. Anche le diffidenze residue furono rimosse con la sostituzione dell’ambasciatore italiano a Mosca, Sergio Romano.

L’allora Presidente del Consiglio, Ciriaco De Mita, chiese ed ottenne al vertice del G7 di Toronto (19-21 giugno 1988) che il documento finale recasse un segno evidente di questa fiducia, nonostante una qualche freddezza da parte degli altri capi di Stato e di governo. In un passaggio della Dichiarazione politica si poteva dunque leggere che “una maggiore libertà e una maggiore apertura in Unione Sovietica offriranno la possibilità di attenuare la diffidenza e di instaurare un clima di fiducia. Ciascuno di noi adotterà un atteggiamento positivo nei confronti di una simile evoluzione”.

De Mita tornerà dopo qualche mese, nel suo discorso alla FAO (Roma, 17 ottobre) in occasione della Giornata mondiale dell’Alimentazione, sulle novità derivanti dalla costruttiva interazione tra Occidente e Unione Sovietica, specie per l’opportunità storica di riduzione delle spese militari a favore del sostegno internazionale alla lotta contro la fame e il sottosviluppo. Era il presagio, poi smentito dalla caduta di Gorbaciov, di un cambiamento epocale in direzione della pace e del progresso dell’umanità.

Di seguito riportiamo uno stralcio del discorso di De Mita alla FAO.

(L. D.)

 

 

Ciriaco De Mita

 

Sono tornato ieri dall’Unione Sovietica dove ho avuto modo di constatare l’interessante evoluzione in atto in quel Paese. Noi seguiamo con attenzione il processo in corso e auspichiamo che mentre da un lato siano raggiungibili intese in materia di disarmo e di limitazione degli armamenti, dall’altro si sviluppino formule di collaborazione economica, scientifica e culturale.

Questo processo che sta contribuendo a ridurre le distanze fra Est ed Ovest deve avere effetti benefici anche nella cooperazione allo sviluppo. Tante volte è stato detto che le spese destinate a scopi militari potrebbero essere più efficacemente utilizzate in programmi di aiuto. Noi dobbiamo creare le condizioni che ci consentano di muoverei in questa direzione. Oriente ed Occidente debbono impegnarsi in una rinnovata collaborazione, soprattutto in settori dove vi sono chiari obiet- tivi comuni da perseguire. Penso alla tutela dell’ambiente, già richiamata prima; alle iniziative sanitarie; alla lotta contro la malnutrizione e la povertà.

La difficoltà delle politiche di aiuto derivano anche dalla necessità di combinare fattori spesso poco omogenei tra loro. Vi sono i condizionamenti internazionali. Vi è la necessità di adattare i programmi alle realtà differenziate dei singoli Paesi. La qualità dei programmi di coope- razione e la loro capacità di adattarsi alle situazioni locali diventano sempre più elementi essenziali per un buon esito di queste iniziative.

Noi siamo convinti che il recupero e la valorizzazione delle risorse umane costituisca il presupposto indispensabile di un autonomo processo di sviluppo. È l’uomo infatti che deve restare al centro di tale processo.