Lo strappo in Oceania pone l’Europa di fronte alla questione dell’autonomia e della responsabilità in campo militare

Non si tratta di cambiare alleanze, ma di renderle efficaci e soprattutto dignitose e convenienti anche per noi. Piuttosto si apre il discorso di unEuropa capace di assumersi le sue responsabilità, diventando laltro pilastro dellatlantismo insieme agli USA.

 

Raffaele Bonanni

 

Il tema della costituzione di un esercito europeo ha tenuto vivo il dibattito nell’estate ed in questi primissimi giorni di inizio d’autunno. Anche in altri momenti, ogni tanto, se n’è manifestata l’esigenza, ma ha riguardato prevalentemente solo analisti del problema. La vicenda drammatica afgana, che ha messo a nudo il cambiamento di strategia degli Stati Uniti riguardo alla loro visione nuova geopolitica, ha suscitato negli europei il forte timore che qualcosa di profondo sia successo e che i rischi della totale irrilevanza nelle decisioni mondiali, e soprattutto i timori per la propria futura sicurezza ed indipendenza, stanno progressivamente mostrandosi come una prospettiva sconvolgente e reale per l’Europa.

 

Altri segni del disimpegno americano erano già stati notati come in Medio Oriente ed in altri scacchieri più o meno prossimi all’Europa, senza che le proprie cancellerie si fossero preoccupate che quegli eventi riguardavano loro. Donald Trump qualche tempo fa definì gli europei senza tanti giri di parole “scrocconi”, in quanto continuavano a non farsi carico dei costi rilevantissimi della NATO, pur godendo della sua garanzia di sicurezza, e dichiarò finita la lunga epoca degli USA unici finanziatori di tutto l’apparato militare. Ora Joe Biden, pur avendo nei primi giorni del suo mandato presidenziale incoraggiato gli alleati a rilanciare l’atlantismo e a riconsolidare il rapporto con l’Europa dopo la brusca parentesi del “tycoon”, non ha mutato sostanzialmente linea: le sue, sostanzialmente, sono solo parole di circostanza. Evidentemente le élites economico-militari hanno da tempo già decise nuove strategie che ora vanno compiute, adattandole rispetto ai tanti fattori nuovi intervenuti nel complesso equilibrio di poteri e convenienze sul piano planetario.

 

L’affaire dei sottomarini nucleari ne è la più eloquente prova: prima commissionati dagli australiani alla Francia, e poi con inusitata rapidità d’intenti affidati agli USA, in accordo con il Regno Unito, per fare della Oceania il baluardo più significativo di difesa nei confronti della crescente potenza cinese. Ciò è stato letto senza troppi fronzoli come il tradimento” rivelatore di una svolta radicale di interessi ed alleanze. Ora con realismo e responsabilità, gli europei dovranno velocemente concludere definitivamente la lunga parentesi iniziata dopo gli orrori della seconda guerra mondiale è caratterizzata dal rifiuto ad organizzarsi militarmente.

 

La sicurezza del vecchio continente diventa una esigenza pressante in un nuovo mondo già davanti a noi, che può evolvere o involvere senza o contro l’Europa. Insomma una comunità di mezzo miliardo persone, tra le più ricche ed evolute del mondo, non può certo delegare, come sinora è accaduto, ad altri la propria sicurezza. La indipendenza, l’autonomia, la libertà, hanno un costo; non possono che pagarlo coloro che ne beneficiano. Dunque un unico esercito di uno unico Stato federale che affida l’esecuzione delle proprie decisioni ad un unico governo al quale ogni Stato membro della Unione dovrà  devolvere i propri poteri per organizzare la difesa, come evidentemente per la politica estera, che ormai è stupido condurre ciascuno per conto proprio nella relazione con gli Stati potentissimi del mondo. Questo dunque il tema; e a questo tema occorre trovare rapidamente una soluzione.

 

Non si tratta di cambiare alleanze, ma di renderle efficaci e soprattuto dignitose e convenienti anche per noi. Cosicché l’Europa diventerebbe davvero l’altro pilastro dell’atlantismo insieme agli USA, condividendone costi e opportunità, e rappresentando per il mondo democratico-liberale una realtà di sicuro riferimento.