Lombardia, astensioni e Destra. Gli altri…non pervenuti.

L’alto astensionismo illustra la crisi di credibilità dell’istituto regionale, tanto da far riflettere sull’autonomia differenziata. Vincono Fratelli d’Italia e Lega, portando al traino l’intera coalizione. E vince Fontana, il Presidente uscente. Per contro, la netta sconfitta del centrosinistra esige un’analisi severa.

Se anche in Lombardia va a votare solo poco più del 40% degli elettori potenziali la crisi delle istituzioni è molto seria. Significa che il dissenso popolare è enorme nei confronti di una qualità dell’offerta politica giudicata scadente, nei partiti e nei politici che li rappresentano.

Un astensionismo così alto nelle elezioni regionali di due delle tre principali regioni italiane illustra altresì la crisi di credibilità dell’istituto e questo dovrebbe far riflettere quanti vogliono introdurre l’autonomia differenziata, col rischio di creare nuovi danni allo Stato oltre a quelli prodotti in questi ultimi 20 anni dalla riforma del Titolo V°, colpevole di un contenzioso gigantesco fra Stato e Regioni assolutamente nefasto per la gestione della cosa pubblica e per il suo buon funzionamento.

Ciò premesso il risultato registrato era ampiamente prevedibile. E previsto. Ciò perché in Lombardia la struttura sociale ed economica è saldamente ancorata al centrodestra sin da quando – scomparsa la Dc – Berlusconi prima e la Lega poi ne ereditarono larga parte dell’elettorato. E poi perché le opposizioni di centrosinistra non hanno saputo far fronte comune (ma del resto mettere insieme Terzo Polo e 5 Stelle è impossibile).

In Lombardia il Pd ha optato per l’alleanza con i 5 Stelle, che però al Nord sono assai deboli. Si consola con un risultato di lista dignitoso, superiore al 20%, che però non offre alcuna prospettiva di vittoria futura, se non saprà costruire un fronte largo in grado di scalfire quel fronte sociale che vota il centrodestra da quando è nata la cosiddetta “Seconda Repubblica”. E che è il portato soprattutto del consenso ottenuto a Milano e in tre altre capoluoghi di provincia, a conferma di un radicamento cittadino che svanisce man mano che dai centri urbani ci si allontana. A caldo può essere sufficiente criticare il Terzo Polo per una scelta che palesemente non ha pagato, ma la riflessione che questo risultato impone dovrà  andare ben più in profondità.

Riflessione che nel caso di Azione e Italia Viva diventa essenziale, pena la precoce conclusione di un progetto sorto con ambizioni importanti ma destinate a rimanere tali se non saranno in grado di aprire un varco presso l’elettorato moderato: non esserci riusciti avendo una candidata della storia e dello spessore di Letizia Moratti è un segnale d’allarme rosso che non potrà essere eluso.

A destra i vincitori sono tre e il perdente uno. Nel senso che Fratelli d’Italia è diventato il primo partito in Regione grazie al traino indubitabile di Giorgia Meloni, ancora in luna di miele col Paese. Ma non ha cannibalizzato la Lega, che col 16% circa di consensi è riuscita a evitare quel tracollo che in molti anche al suo interno temevano. Del resto è qui che essa è nata, e le radici ormai trentennali sono solide. Ed infatti il terzo vincitore è il Presidente Fontana: vincitore due volte, perché la sua lista è andata oltre il 6%, un risultato assai dignitoso a conferma di una stima personale che egli ha saputo guadagnarsi per i suoi modi tranquilli e pacati che evidentemente sono stati apprezzati. Il partito perdente invece è Forza Italia, scesa intorno al 6% laddove una volta dominava il campo. Tutti qui in Lombardia pensano la stessa cosa, ovvero che quel partito è destinato a declinare e poi a scomparire. Solo questione di tempo.

Un’ultima osservazione, a margine: la difficile (diciamo così) gestione della pandemia, nel 2020, non ha inciso elettoralmente in termini negativi per il centrodestra come in molti immaginavano. Evidentemente, due anni sono stati sufficienti per dimenticare le gravi inadempienze delle Regione.