L’On. Giorgetti e la democrazia

E’ stato detto che la democrazia è la peggiore forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora

Hanno molto colpito le recenti dichiarazioni dell’onorevole Giorgetti sulla democrazia. Come alcune reazioni sui social o su qualche chat, anche quella di Rete Bianca che rilancia con frequenza gli articoli de Il Domani d’Italia.

C’è chi ha parlato di fascismo o di “ svolta Reazionaria”.

Mi rendo quindi conto che non sia facile intervenire su queste colonne per delle precisazioni, dirette sia al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sia ai suoi critici, vista la natura di questo giornale e della precisa fisionomia politica di Rete Bianca.

A chi ha reagito immediatamente aelle dichiarazioni di Giorgetti vorrei dire subito che, forse, non è stato focalizzato bene il complesso delle dichiarazioni del leader leghista, rilasciate in occasione della sua partecipazione ad una tavola rotonda del Meeting di Cl, in corso a Rimini.

Soprattutto, penso che si potrebbe provare a cogliere la prospettiva di un possibile approfondimento e di un’auspicabile dialettica su temi che coinvolgono tutti.

Giorgetti, mi pare, abbia detto le seguenti cose, che sintetizzo disegnando a mano libera.

“ La reazione populista e identitaria ha travolto tutti gli istituti della democrazia rappresentativa”.

Il Parlamento non conta più nulla perché “ è sentito dai cittadini elettori come il luogo dell’inconcludenza” e, se continuiamo nella sua difesa così, “ non facciamo un bene neppure alla democrazia”, la quale finisce a essere rappresentata come un “ feticcio”.

Lamentando che il Contratto di Governo, quello stipulato tra Di Maio e Salvini, non preveda alcuna riforma delle istituzioni democratiche, ha auspicato un cambio di rotta perché “ quello che accade attorno ai palazzi di Roma ci sta travolgendo e se non si riformano le istituzioni si fa in fretta a buttare via tutto quanto”.

Una parte di quest’affermazione di Giorgetti, però, deve subito essere corretta. Il Contratto di Governo contiene il punto 19: “RIFORME ISTITUZIONALI, AUTONOMIA E DEMOCRAZIA DIRETTA”. E’ un dettaglio!

In esso, assieme, alla riduzione a 400 deputati e a 200 senatori, si propone anche il cosiddetto “ vincolo di mandato” per contrastare il crescente fenomeno del trasformismo.

Detto senza alcuno spirito polemico, bisognerebbe chiedere a Silvio Berlusconi cosa ne pensi dopo essersi presentata la Lega dinanzi agli elettori in un patto di Centro destra, subitaneamente abbandonata al momento di formare l’inedito governo con i 5 Stelle. Anche questo è un dettaglio!

Semmai, c’è da dire che nel Contratto non sono previste due riforme proposte oggi da Giorgetti, ed una in modo diverso: elezione diretta del Presidente della Repubblica, riduzione del Parlamento a una Camera, dimezzamento del numero di parlamentari, mentre nel Contratto si parla di una generica riduzione di essi.

Forse, pur affrontando temi importanti, comunque da sottoporre ad ampia discussione, soprattutto la prima, a mio avviso, perché la nostra nasce e dovrebbe restare Repubblica parlamentare, queste proposte non esauriscono l’ampiezza di una riforma sentita come necessaria.

Giorgetti, nel corso dell’intervento al Meeting, infine, indica il nemico nella “ ideologia globalista” e ricorda la “ crisi dei corpi intermedi, dal mondo del credito cooperativo, alle associazioni di categoria, ai sindacati”. Temi a noi cari.

In seguito, quasi a voler rispondere ai suoi immediati critici, nel corso di un’intervista circolante su YouTube, ha aggiunto che c’è il rischio di veder diventare seria “ la richiesta dell’uomo forte”.

Rileggendo in questo modo il pensiero espresso in pubblico da Giorgetti, credo si possa riconoscere all’esponente leghista l’intenzione di segnalare un pericolo, più che esprimere un auspicio.

Un pericolo, del resto, su cui tutti i democratici s’interrogano da molti, troppi anni: la tenuta del quadro democratico e istituzionale.

In effetti, continua a non essere risolta la frattura tra la democrazia formale e quella sostanziale.

A lungo studiata in Italia da Bobbio, finisce per affondare le proprie radici nell’imponente riflessione del Toqueville sulla democrazia rappresentativa. Cioè sino agli albori dal primo diffondersi del concetto della democrazia quale moderno strumento di organizzazione della vita pubblica.

Si potrebbe ricordare, a questo punto, l’aforisma di Wiston Churchill: “ E’ stato detto che la democrazia è la peggiore forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.

Purtroppo, questa considerazione non ha impedito la spinta verso forme autoritarie, le abbiamo conosciute in varie parti del mondo anche nei decenni che ci siamo lasciati alle spalle, quando lo iato tra aspetti formali e quelli sostanziali del processo democratico ha finito per travolgere l’insieme di “ tutti gli istituti della democrazia rappresentativa”, come dice Giorgetti.

E’ giunto il tempo di interrogarsi e provare a rispondere a dei quesiti che accomunano? Dobbiamo porci la questione della tenuta dell’assetto democratico e istituzionale? Ciascuno da solo, o solo nel proprio ambito di appartenenza? Diversamente, con chi?

Lucio D’Ubaldo ha parlato spesso di un’emergenza del quadro democratico con cui dobbiamo confrontarci. Con lui, anche Ciriaco de Mita. L’ha fatto prima e dopo il 4 marzo, a conferma che il problema non si è risolto neppure con la forma più alta di utilizzo di uno degli strumenti della vita democratica, com’è quello delle elezioni.

In questo credo, dunque, che alcune delle osservazioni dell’on. Giorgetti meritino una parte di condivisione: troppo spesso siamo di fronte alla “ inconcludenza” del Parlamento, alla “ crisi dei corpi intermedi, dal mondo del credito cooperativo, alle associazioni di categoria, ai sindacati”. C’è da esprimere la stessa preoccupazione sul rischio di veder diventare seria “ la richiesta dell’uomo forte”.

Mi chiedo, e chiedo, allora, sulla base della condivisa consapevolezza di trovarci dinanzi a consistenti pericoli, se non sia necessario affrontare problemi essenziali del nostro vivere civile senza guardare al fatto che si debba fare anche con chi non la pensa politicamente come noi. Non ci sono, in questo, una sottile costrizione, un forte obbligo comuni?

In questa prospettiva, giungo inevitabilmente, così,  ad includere anche quanti sono stati visti sempre dall’altra parte della barricata. E nonostante che da questi si sia stati ripagati, abbondantemente, con la stessa moneta.

Giorgetti, però, se veramente fosse disponibile a un approfondimento sulle riforme istituzionali dovrebbe provare a non dimenticare le responsabilità assunte dalla sua parte politica nella lunga alleanza con Silvio Berlusconi.

Non avrà certo scordato che, in quel periodo, venne fatta una legge elettorale la cui conseguenza è stata la distruzione del rapporto tra eletti ed elettori: una delle questioni vitali del nostro tempo. Definita da un suo compagno di partito “ una porcata”. Da qui il termine “ porcellum”.

Il distacco dei cittadini, quelli che denunciano la “ inconcludenza” del Parlamento non viene, forse, anche da questo modo di fare politica?

E’ disposta la Lega a modificare la legge elettorale? A reintrodurre le preferenze? Magari studiando di questo nuovo sistema elettorale una versione più proporzionale, sia pure con adeguati sbarramenti, sicuramente meglio aderente alla necessità di rafforzare il rapporto con il cittadino elettore. Oppure, con il sistema dei collegi uninominali, con la definizione dei relativi candidati con primarie regolate con apposita legge? Oppure, con un sistema misto il quale, però, a differenza di quanto introdotto recentemente, elimini norme vessatorie come appare la richiesta della raccolta di un numero ingenti di firme, nel tentativo limitatore della libera espressione della volontà popolare?

Devo ricordare, tanto per tornare alla dicotomia tra formalismo e sostanza nella democrazia, come il Contratto tra Di Maio e Salvini introduca, di fatto, già delle modifiche istituzionali. E contiene un qualcosa che dovrebbe apparire aberrante agli occhi di un vero riformatore democratico.

Il primo punto del Contratto di Governo, quello del “ Funzionamento del Governo e dei gruppi parlamentari”, impegna  Cinque stelle e Lega a “ garantire la convergenza delle posizioni assunte dai gruppi parlamentari” e, per quanto attiene alla cosiddetta “ calanderizzazione” dei provvedimenti proposti da singoli parlamentari, stabilisce che questi debbano passare prima  al vaglio dei presidenti dei “ gruppi parlamentari delle due forze politiche”.

Quanto non scritto, ma la cui forza è confermato dalla realtà delle cose, è che i vertici del partito Lega e, ancora di più il “ sistema“ Rousseau,  determinano ferramente i comportamenti degli eletti tra le loro fila. Non rileviamo un’estrema forma di incombenza dei partiti sui gruppi parlamentari?

Siamo  dinanzi al rovesciamento del rapporto tra partiti e gruppi parlamentari.

Uniche entità, quest’ultime, riconosciute pienamente dalla Costituzione nelle procedure istituzionali. Manca ancora, infatti, l’applicazione dell’art 49 della Carta sulla figura ed il ruolo dei partiti politici. E’ disponibile la Lega a sanare questo “ vuoto”?

Ovvie, allora, le domande conseguenti la lettura del Contratto: non rischiamo di influire, di fatto, sulle norme costituzionali e sui regolamenti che le due camere si danno nella loro specifica autonomia? Come si trasforma, nei fatti,  la figura del rappresentante del popolo?

Insomma, c’è molto da discutere. Argomenti che vanno ben al di là delle sole tre proposte di riforma avanzate da Giorgetti.

In ogni caso, potrebbe valere la nostra riflessione sulla saggezza, l’opportunità e l’utilità di verificare la disponibilità a un confronto, indipendentemente dal fatto che su molte altre questioni restano cose in sospeso e profonde difformità di vedute.