Il pellegrinaggio di Matteo Salvini a Washington conferma ciò che era già evidente: l’Italia si prepara a diventare il principale “cavallo di Troia” di quanti, nel mondo, non vogliono una Europa unita e forte.
Era evidente (e preoccupante), appunto. Ma non per la larga maggioranza dei cittadini italiani che hanno oggi un’altra priorità: sperano che la svolta rappresentata dalla destra e dai populisti interrompa il processo di impoverimento e di precarietà materiale e psicologica che la globalizzazione non governata degli ultimi vent’anni ha comportato per la vita loro e delle loro famiglie. Una speranza destinata a trasformarsi in incubo, come sappiamo, ma loro ancora non ne sono affatto persuasi.
L’alternativa alla destra a trazione leghista, anziché avvicinarsi, si allontana.

È passato più di un anno dal disastro marzo 2018 e non pare francamente che ci sia una chiara idea del che fare.
Le ragioni strutturali che hanno portato a questa situazione non sono state indagate a sufficienza e men che meno è stata elaborata l’unica risposta adeguata: un nuovo “compromesso” tra democrazia e capitalismo. Perché è di questo che si tratta.
Il campo di gioco è quasi unicamente presidiato dalla Lega e dal suo debole alleato di Governo. L’agenda politica è definita da loro e scandita sulle note del loro costante conflitto (non si sa quanto autentico e quanto costruito). E – tuttalpiù – dalla Magistratura, dalla Commissione Europea o da mobilitazioni spontanee e auto promosse di significative minoranze civili e sociali: nobili e preziose, ma sempre più in distonia con la parte prevalente del popolo.

Quanto alla Politica, le cose non vanno certo per il verso giusto.
Nascono iniziative tutte autoreferenziali e tese, per lo più, a spartirsi il bottino dei consensi già orientati verso il campo alternativo alla destra leghista. Con un gioco, dunque, a somma zero. Ci sono importanti fermenti positivi nel campo “popolare” di ispirazione cristiana. Ma sono ancora dispersi, pieni di reciproche gelosie e poco propensi, fino ad ora, a mettere generosamente a fattor comune i propri singoli percorsi. Ognuno vorrebbe “federare” gli altri, ma non condividere una nuova forte esperienza comune (della quale invece ci sarebbe estremo bisogno).

E il PD – dopo aver rilanciato negli ultimi tempi l’idea di una coalizione plurale e ampia contro la destra – ritrova la propria apparente unità in Direzione Nazionale riproponendo invece la sua “vocazione maggioritaria”. Ma come può convivere la vocazione maggioritaria di un partito con l’opzione di una coalizione plurale e ampia? In in solo, inutile, modo: con la costruzione “in vitro” di semplici “satelliti”, alla maniera tolemaica.

Così, l’opposizione è sempre più isolata e la Lega deborda.
Di fronte alla “rivoluzione trumpiana” in salsa nostrana che Salvini rappresenta, è illusorio e miope contrapporre una tattica passatista e un po’ nostalgica. Nulla tornerà semplicemente come era. Prima di congetturare coalizioni elettorali, serve dunque mettere in campo significative novità sul piano dei “soggetti politici” che si propongano di interpretare i mutamenti sociali e di corrispondervi con progetti dotati di radicalitá programmatica, chiarezza di visione, leadership all’altezza e linguaggi aggiornati.

E questo vale in modo particolare per chi ha la giusta (ma temeraria) ambizione di definirsi “popolare”.
Altro che “satellite moderato”: l’alternativa può decollare solo se i popolari (nella loro accezione cristiana e laica, non ideologica) torneranno a dare il loro contributo visibile per una “rivoluzione” di segno opposto a quella trumpiana, ma non meno incisiva e radicale: rafforzare il “polo” della Comunità accanto a quelli dello Stato e del Mercato e ricostruire una idea “sociale e comunitaria” delle Istituzioni. Di fronte alla crisi delle forme rappresentative ed alla perdita di “carisma” della democrazia, non può esserci in campo solo l’alternativa del modello populista e tendenzialmente autoritario che oggi sta prevalendo.