La voce dello scrittore Luis Sepulveda, sospesa tra il Cile a cui apparteneva e la Spagna dove si era rifugiato, si è spenta (a 70 anni) in un ospedale di Oviedo. Esule politico, guerrigliero, ecologista, viaggiatore dal passo ostinato e contrario, sapeva sempre pescare dal cilindro l’ennesimo aneddoto quando i lettori pensavano di conoscere già tutto: i lineamenti forti da guerriero stanco, gli occhi scuri che si accendevano di passioni. E lo faceva sempre con quel talento da affabulatore (tipicamente latinoamericano) che lo rendeva prima ancora che un abile scrittore, un inguaribile cantastorie. Scriveva favole – su tutte la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare – ma anche romanzi, al cui centro c’era l’eterna lotta tra il bene e il male. Non amava la cronaca, credeva che la letteratura fosse finzione e intrecciava i fili della narrativa per dare vita a personaggi e trame avventurose intessute di passioni e ideali, quelli per cui aveva lottato, viaggiato e infine scritto. Per dirla con Pablo Neruda, “confesso di aver vissuto”.

Alla militanza politica dedicò La frontiera scomparsa: i racconti che compongono il libro seguono le tappe di un cileno che dalle patrie prigioni del dittatore Pinochet ritrova la libertà attraversando l’Argentina, la Bolivia, il Perù, l’Ecuador e la Colombia, in treno o su mezzi di fortuna fino a Panama dove si imbarca per la Spagna. A chi gli chiedeva perché mai ci avesse messo tanto a trasformare quella esperienza in un libro lui rispondeva che, per l’appunto, era letteratura quella che voleva fare “non psico-letteratura”. Detestava il pathos, aveva bisogno di mettere tra lui e l’amato Cile la giusta distanza. Dal dramma si risollevava con la lingua: semplice, netta, sintetica. Tutto il contrario di Gabriel Garcìa Marquez: nessun “realismo magico”. Per dirla con Hemingway, “parole da venti centesimi” e nessuna costruzione barocca.

La sua relazione più duratura (con la poetessa Carmen Yanez) la ritroviamo nel romanzo Un nome da torero. Il protagonista, che si chiama Juan Belmonte (come il celebre toreador) è un ex guerrigliero cileno che accetta di dare la caccia a un tesoro nazista nella Terra del fuoco per amore di Veronica, una donna torturata dalla dittatura militare e ritrovata viva, ma in condizioni psicologiche disastrate, in una discarica di rifiuti a Santiago. Sepulveda amava plasmare le sue esperienze personali in materia letteraria, regalando frammenti di vita ai suoi personaggi.

A unificare i diversi generi letterari c’è la leggerezza della prosa. Leggere Sepulveda, infatti, non richiede sforzi, le pagine scivolano sotto gli occhi ma le passioni di cui parla, i fantasmi che evoca, i grandi amori, gli ideali irrinunciabili lasceranno tracce indelebili nella memoria dei lettori.