Dunque, si riparla dell’Ulivo. E sicuramente è una bella notizia perchè significa, almeno solo a  livello simbolico ed emotivo, ricordare una bella stagione della politica italiana. Una stagione  caratterizzata da un vero progetto politico, anche se poi miseramente fallito, e dal protagonismo  di culture politiche che avevano contribuito a costruire e a consolidare la democrazia italiana. Un  progetto politico che concise anche con il “ritorno” della politica dopo una fase difficile e  complessa che aveva raso al suolo tutti i partiti che avevano governato il nostro paese per quasi  50 anni. A cominciare dalla vicenda che aveva coinvolto e caratterizzato la Democrazia Cristiana,  e cioè il partito italiano che aveva contribuito, con la sua presenza, con la sua cultura di governo,  con la sua cultura politica e soprattutto con la sua classe dirigente, a definire e a permeare il  sistema politico italiano. 

E quindi, l’Ulivo era sinonimo di culture politiche riformiste, di alleanza politica imperniata attorno  ad un progetto di governo e con partiti che incarnavano una autentica storia politica e una  tradizione ideale. 

Ora, pare che si voglia rilanciare il progetto dell’Ulivo nell’agone politico contemporaneo, seppur  con partiti profondamente diversi e con un progetto politico ancora tutto da definire e da  costruire. 

Ma, al di là del progetto politico che sarà riproposto, è indubbio che le costanti che l’avevano  caratterizzato a metà degli anni ‘90 non avranno più cittadinanza alcuna nella stagione  contemporanea. E questo almeno p tre elementi. Innanzitutto le culture politiche. Il progetto,  almeno così pare di capire, poggerebbe sull’apporto decisivo e determinante del partito  antisistema, anti politico, demagogico e populista per eccellenza, cioè il partito di Grillo. Anche se  con l’ultima torsione, dopo il lungo pellegrinaggio trasformista, lo dipinge addirittura come un  movimento “liberal moderato” anche se sempre interprete di un “populismo dolce”. Uno scenario  impensabile nella concreta esperienza del primo Ulivo. In secondo luogo la classe dirigente. Su  questo versante è superfluo ogni commento rispetto alla esperienza del passato talmente è  profonda la differenza di qualità. In ultimo il progetto di governo. Se nel 1996 il filo rosso che  giustificava la scommessa politica era prevalentemente quello di disegnare un progetto di  governo certamente alternativo al centro destra ma fortemente propositivo e capace di dispiegare  una autentica cultura riformista, oggi si tratta prevalentemente di mettere in piedi una coalizione  “contro” qualcuno. Nel caso specifico contro Salvini e la Lega. E quindi un progetto politico e di  governo che si caratterizza per l’avversità implacabile contro l’avversario di turno e per giustificare  la vocazione “governista” della sinistra. 

Ecco perchè, forse, è arrivato anche il momento – almeno per chi continua a credere nel progetto  ulivista – di rileggere, seppur criticamente, l’esperienza dell’Ulivo del passato per costruire, oggi,  una coalizione vera e politicamente credibile che non si riduca ad essere solo un pallottoliere  contro il nemico giurato e accusato di ogni nefandezza.