Sulla scissione comunista di Livorno. Ma è questo il centenario?

Un altro partito quello sorto con la “svolta di Salerno”, quello che sente la democrazia non come una eredità del potere borghese, ma come conquista del proprio popolo

Mi ha inevitabilmente provocato un sorriso un trafiletto apparso su «Bandiera Rossa», organo dei comunisti anconetani, contro Girardengo e il Giro d’Italia. Siamo ai primi di giugno del 1921. Non sono passati neppure cinque mesi dalla scissione di Livorno e la nostra stampa “bolscevica” in genere inneggia alla Russia dei Soviet ed è feroce contro i socialisti. 

Eppure trovare un particolare così apparentemente irrilevante come l’attacco a un mito del ciclismo, osannato in anni recenti da Francesco De Gregori, ci dice tanto sulla mentalità dei “rivoluzionari” di allora”. Chi poi, come il sottoscritto, ha vissuto la stagione del ‘68, sa bene che tutti i movimenti sovversivi, almeno nella fase originaria e propulsiva, intendono andare al cuore del potere da abbattere.

Così lo sport viene percepito come strumento del consenso del potere “borghese” (anche allora si chiamava così), essenziale per distrarre le masse dai loro naturali obiettivi rivoluzionari. Come si fa a non riportare alla mente la vittoria di Bartali al Tour de France 28 anni dopo! Anche allora non era così essenziale per fermare una rivolta senza speranze, ma l’immaginario collettivo ha avuto piacere ritenerlo plausibile.

Insomma questi fondatori erano coloro che dovevano sovvertire l’ordine costituito e che invece nel giro di poco più di un anno furono spazzati via dalle camicie nere e dal “potere borghese”, con soddisfazione delle masse che amavano il ciclismo, il calcio e così via. 

Se non ci fossero state menti lucide che avrebbero riflettuto a fondo su cotante disastrosa sconfitta, quel partitino sarebbe davvero scomparso. Allo stesso tempo se l’elemento utopico non avesse mantenuto in vita la speranza (a costo di persecuzioni, galera, confino, ecc..), quel partitino sarebbe davvero scomparso. Se l’attesa della parusia, dell’avvento del regno della giustizia in terra, non fosse rimasta viva tra qualche giovane, che oggi definiremmo fanatico, quel partitino sarebbe davvero scomparso.

Ma, ecco il punto, se è rinato ed è diventato il più forte partito comunista al mondo in regime di libertà, ciò è accaduto grazie all’abbandono totale dei presupposti da cui era nato.

Davvero un altro partito quello sorto con la “svolta di Salerno”, quello che sente la democrazia non come una eredità del potere borghese, ma come conquista del proprio popolo; che percepisce la politica non come strumento di eversione, ma come espressione della intelligenza umana, come voce dell’”intellettuale collettivo”; che svolge una funzione pedagogica tra le masse, e così via. 

Si ricordi che la prima cosa che Togliatti chiedeva il lunedì mattina ai suoi collaboratori era: cosa ha fatto la Juventus? Certo poi ha faticato a capire le novità della cultura e della musica leggera in particolare. Se non ci fosse stato Umberto Eco molti comunisti avrebbero ritenuto Mina un frutto della distrazione di massa. Ma guai a perseverare nell’errore. Ben presto i gruppi rock più all’avanguardia avrebbero trovato il loro trampolino di lancio nelle Feste dell’Unità.

Insomma, il partito di massa, che collabora alla stesura della Costituzione, che crede fortemente nella democrazia, che diffida di gesti sovversivi, come, ad esempio, l’occupazione della Prefettura di Milano, che, certo, mantiene in vita alcune ambiguità e non è esente da errori, svolge comunque un ruolo nazionale che i rivoluzionari del 1921 avrebbero ritenuto politica da rinnegati.

Ma allora davvero i comunisti sono poi diventati socialdemocratici pur senza saperlo o senza volerlo riconoscere? Ecco un punto dolente troppo spesso risolto con superficialità. Intanto perché in genere non si riflette abbastanza sul socialismo in Italia, sul perché sia fallita la possibile alleanza con i Popolari, perché sia fallito il centro sinistra, perché quel partito sia sempre rimasto radicalmente anticlericale e in fondo massimalista oltre che diviso al proprio interno. 

Negli anni trenta erano diventati delle mummie, fermi nella loro ideologia ormai sclerotica. Mi ha sempre molto colpito l’ostracismo e l’espulsione di Giuseppe Donati (ex direttore del Popolo) dalla Concentrazione antifascista, perché non aveva dato un giudizio negativo, bensì articolato, sui Patti Lateranensi!

Togliatti voterà l’articolo 7 della Costituzione, ma non solo o non tanto in modo tattico, ma perché ne era convinto. Non a caso era contrario al Fronte popolare nel ‘48 e vi fu  trascinato da Nenni. Pare addirittura che tirò un sospiro di sollievo quando conobbe i risultati del voto.

E nel ‘49 dopo la scomunica, rassicurò don De Luca che se l’aspettava e che non intendeva rispondere con la contrapposizione frontale. In questo caso fu De Luca a tirare un sospiro di sollievo…

Togliatti, nel suo intimo, stimava De Gasperi, molto meno Nenni e non intendeva in alcun modo favorire la fusione con i socialisti, come chiedeva la destra del partito (Amendola in testa).  Anche per questo il Pci non diventò socialdemocratico. Paradossalmente restare comunisti voleva dire mantenere l’originalità e, al contempo, un filo rosso sotterraneo con i valori religiosi e nutrire quindi la comune avversione verso il “radicalismo borghese”. Il discorso di Bergamo, la scambio di lettere tra Berlinguer e mons. Bettazzi, sono non solo un superamento oggettivo della scolastica marxista, ma anche e soprattutto la testimonianza di una “diversità” che in qualche modo ha reso il Pci uno strano animale, né comunista col kappa né socialista (alla Turati o alla Nenni, o alla Craxi, sempre rimasti “tribuni del popolo” e, al contempo, con la fissa della “stanza dei bottoni”). 

Forse andrebbero riletti i discorsi del Brancaccio del luglio 1944, quello di Togliatti e quello successivo di De Gasperi, come fondativi di culture diverse ma non inconciliabili. Per poi magari trovare spunti interessanti per la mia tesi.

Per questo non celebro il 21 gennaio, mentre aspetto il 2044 per ricordare il centenario del Pci. Ovviamente non ci sarò, ma i nostri nipoti lo celebreranno assieme a quello…della Democrazia Cristiana.