A guardare cosa accade, specialmente dal lato dei 5 stelle, viene facile purtroppo registrare come tutto deragli verso l’improvvisazione. Nei grandi comuni, dove è più esplicita la dissociazione tra parole e fatti, la suddetta improvvisazione si traduce in caos. È inaccettabile continuare in questo modo.

Che la qualità e la credibilità della classe dirigente politica sia un tema ricorrente nel dibattito pubblico nel nostro paese non è affatto una novità. Ormai siamo abituati, soprattutto dopo l’irruzione del partito populista per eccellenza, cioè i 5 stelle, ad una classe dirigente improvvisata, casuale e fantasiosa. Caratterizzata, com’è del tutto evidente, da un vigoroso e massiccio trasformismo politico ed opportunismo parlamentare. Non stupisce, al riguardo, il cambiamento radicale delle alleanze da parte del partito di Conte e di Grillo. Poi, una volta registrato ciò che è capitato all’interno di quel partito, tutto diventa possibile. 

Mi viene sempre in mente, di fronte al rinnegamento politico totale di ciò che hanno detto, scritto, urlato e sbraitato in tutta Italia per oltre 15 anni i 5 stelle, la battuta di Carlo Donat-Cattin pronunciata riservatamente molti anni fa durante un congresso della Dc – certo, quando esistevano ancora i partiti e la politica – contro alcuni avversari interni al suo partito. E cioè, diceva il vecchio Donat, “questi sono capaci, capacissimi, capaci di tutto”. Ricordo questa battuta parlando dei 5 stelle per dire che continuare a parlare, oggi, di qualità e di credibilità della classe dirigente è difficile se non addirittura quasi impossibile.

Ma, al di là dei 5 stelle e di ciò che rappresentano e che, purtroppo, continuano a rappresentare nella politica italiana, quello che amareggia – e che stupisce alquanto – è registrare la persistente debolezza della classe dirigente anche in visita dell’ormai prossimo voto amministrativo. Senza alcuna polemica di natura politica o, peggio ancora, personale, ciò che capita sotto i nostri occhi a Roma e a Milano – cioè nelle due città più importanti del nostro paese – è francamente stucchevole. Da restare “basiti”, per dirla con Verdone. 

Ma non solo a Roma e a Milano. Candidati a Sindaco che minacciano di ritirarsi, che rinunciano quasi a parlare in pubblico, che delegano ai capi partito l’eventuale e potenziale risultato positivo, che sono radicalmente privi di qualsivoglia curriculum politico, culturale ed amministrativo. Candidati che, insomma, continuano sulla scia della povertà e della sostanziale irrilevanza della qualità di una classe dirigente.

Ora, che questo turno amministrativo, seppur importante per il numero degli elettori e per l’importanza delle città che si recheranno al voto, sia funzionale quasi esclusivamente per pesare gli equilibri interni dei due schieramenti in vista delle prossime elezioni politiche è fuor di dubbio. Ma, e lo possiamo anche dire ad alta voce, è triste e penoso continuare ad assistere ad uno spettacolo indecente e al limite del grottesco sulla qualità e sulla caratura delle candidature a Sindaco da un lato e sulla incidenza concreta, politica ed amministrativa, che potranno avere in vista del concreto governo delle città dall’altro. 

D’altronde è perfettamente inutile continuare a discutere, accapigliarsi, polemizzare e sentenziare sulla pochezza della classe dirigente politica nel nostro paese e poi prendere atto, amaramente, che il comportamento dei capi partito va in tutt’altra direzione quando si tratta di scegliere le persone e i vari candidati. Una dissociazione radicale che fa male alla politica, alla democrazia e alle stesse istituzioni democratiche. A cominciare dalla guida politica dei grandi comuni italiani.