Ma la Cina pensa davvero di prepararsi a una guerra?

L’autorevole Foreign Affairs ha suonato l’allarme. Preoccupano i segnali provenienti da Pechino, ad esempio l’invito rivolto all’industria privata a servire l’interesse superiore della nazione. I cinese vogliono creare un fronte antiamericano.

Enrico Farinone

Un documentato articolo pubblicato su Foreign Affairs è significativamente titolato “Xi Jinping dice di star preparando la Cina per la guerra”. Ma è il sottotitolo che inquieta ancor di più: “Il mondo dovrebbe prenderlo sul serio”. Gli autori del pezzo, John Pomfret e Matt Pottinger, riprendono e analizzano i quattro diversi discorsi che il capo supremo della Cina ha tenuto lo scorso mese, nei quali con nettezza ha posto in primo piano il tema di una possibile guerra della quale Pechino potrebbe essere parte attiva. A conferma di ciò, vengono ricordate le più recenti decisioni assunte dal Dragone: l’incremento del 7,2% del budget militare (di suo già duplicato nella scorsa decade); la costruzione di bunker di protezione da raid aerei nelle città prossime allo stretto di Taiwan; la creazione di uffici per la “mobilitazione di difesa nazionale” in ogni area geografica del grande Paese; l’emanazione di nuove leggi per il pronto impiego della forza militare. E’ facile immaginare – sostengono gli articolisti – cosa tutto ciò significhi: “se Xi si dice pronto per la guerra, sarebbe folle non prenderlo in parola”.

Ed in effetti vi sono altri segnali alquanto preoccupanti, quali ad esempio il preciso invito rivolto all’industria privata (e sappiamo cosa voglia dire la parola “invito” in una dittatura…) a servire l’interesse superiore della nazione, in questa fase rappresentato soprattutto dai suoi obiettivi militari e strategici: il primo di essi è la riunificazione di Taiwan con la madre patria. Un obiettivo ormai ritenuto fondamentale, addirittura associato con il “ringiovanimento” della nazione e che pertanto indurrebbe Xi a utilizzare la forza pur di conseguirlo.

Ora, è evidente che un simile ragionamento va in rotta di collisione con gli USA. Il warning di Foreign Affairs ha dunque un suo fondamento. Anche perché il rafforzamento dell’asse con Mosca, su uno scacchiere diverso, va nella medesima direzione, appunto lo scontro con Washington. Un asse per di più completamente sbilanciato a favore dell’Impero di Mezzo. La debolezza russa, paradossalmente accentuata da una guerra che al contrario avrebbe dovuto significare il ritorno della Russia al centro della geopolitica mondiale, è tale che il Cremlino ha accettato di divenire il primo paese esportatore di idrocarburi in Cina, ma a prezzi di saldo, pur di poter vendere una materia prima che le sanzioni occidentali non rendono più esportabile in Europa.

Quindi Xi mantiene una certa ambiguità sulla guerra ucraina, tradotta in un “piano di pace” che Putin non ha potuto respingere e che lo stesso Zelensky si è detto disponibile a prendere in considerazione (per meglio dire il Presidente ucraino ha invitato la Cina al dialogo, cercando così di trovare un interlocutore non alleato col quale provare ad esplorare qualche ipotesi di soluzione al conflitto). Ciò che pare di scorgere dietro la nebbia del tatticismo più o meno intessuto di diplomazia, e non è una buona notizia, è la volontà cinese di creare un fronte antiamericano assai ampio che trae oggi dallo scontro che si sta svolgendo in Ucraina linfa propagandistica contro un Occidente che pretenderebbe di governare il mondo ma che non ha né l’autorità morale, né la potenza economica (e in prospettiva neppure militare) per poterlo fare. Dove per Occidente, però, Pechino legge soprattutto Stati Uniti d’America, mentre Mosca intende associare in questa espressione effettivamente l’intero Occidente e dunque anche l’Unione Europea (che invece è per i cinesi il ricco mercato terminale della loro Belt & Road Initiative, la Nuova Via della Seta).

In un tale scenario, il preoccupato monito dell’autorevole rivista americana probabilmente andrebbe considerato con una qualche attenzione.